Nomadi in concerto “Cuore Vivo”

 

 

 

 

foto dal sito IL ROSSETTI

Walking away with me
E bruci le suole anche se
Non c’è direzione
Ma profumo di viole c’è
Tu cammina nel sole
Cammina nel sole
sotto le costellazioni

(Cammina nel sole  – Nomadi & Grignani)

Sono nato nel ’61, l’anno in cui Beppe Carletti fonda insieme al bassista Antonino Campari e al batterista Leonardo Manfredini il gruppo dei Monelli, il seme di uno dei gruppi più longevi e prolifici della storia della musica italiana. Nel ’63 nasce mio fratello, è l’anno in cui ai fondatori già in crescita si unisce Augusto Daolio che conferirà la voce più straordinaria al gruppo che si ribattezza “I sei Nomadi” prima, per poi diventare definitivamente “I Nomadi”, che da qui iniziano la loro carriera al Frankfurt Bar di Riccione.

C’è qualcosa di atipico in questa formazione, qualcosa che spiega il loro successo ad là della generazione cui apparteniamo, al di là del credo politico che si può professare. C’è nel loro farsi musica quella caratteristica meravigliosa che Masters nella sua Antologia di Spoon River fa descrivere al violinista Jones, magistralmente tradotto in ballata da De André. La voglia di suonare, di vivere è un tutt’uno con la voglia di viaggiare, perché la musica non è possesso materiale ma vento, ed il suo destino è andare sempre, quanto lontano non si sa, ma lontano certamente in ogni dove.

Seguire i passi dei Nomadi vuol dire scoprire il mappamondo della terra, non solo della nostra piccola penisola, vuol dire esplorare e sapere dei problemi del mondo, di quei paesi lontani solo per i chilometri, ma non per le necessità umane che fanno capo ad un comune sentire, perché siamo tutti fiori del medesimo giardino.

Una band itinerante come nessun’altra, negli anni 80 raggiungono i 220 concerti in un anno: unica casa vera, il mondo con un tetto di musica cantata assieme, questo loro essere in ogni luogo accende il bisogno di sentirsi anche solo un poco come loro: Nomadi.

Negli anni il gruppo diventa sempre più famoso, sia per la collaborazione diretta con Francesco Guccini che per le personalità sempre meglio definite degli artisti con le tematiche originali dei loro testi, spesso rivolte al sociale.

Il cammino però non è fatto solo di pianura, prima o poi incontra le montagne.

Il ’92 segna una svolta terribile, Dante Pergreffi muore in un incidente stradale, mentre si palesa nella sua drammaticità la malattia incurabile di Augusto Daolio, che si spegne a soli 45 anni.

La voce storica dei Nomadi non c’è più ed un pezzo enorme del loro cuore con lei, ma come recita una poesia di Machado diventata una canzone di Serrat: Tu che sei in viaggio, non sei su una strada, la strada la fai tu andando. I Nomadi trovano una nuova voce, quella di Danilo Sacco e la strada si riapre sotto i loro passi.

Nel 2003 sono di nuovo a Riccione a festeggiare i loro 40 anni, una emozione che conservo profonda anche nel mio cuore; nel 2013 invece chissà, al termine del Tour teatrale che si conclude quest’anno Danilo Sacco lascerà per motivi personali e i Nomadi dovranno cercare una strada inesplorata ed una voce diversa che possa riaprire il sentiero. Io mi auguro che sia così.

I Nomadi nella sostanza di tutta la loro carriera rappresentano, credo non solo per me, il coraggio del viaggiatore, che incarna il senso migliore dell’esperienza umana. Senza i vincoli del possesso di una terra, di una casa, padroni solo delle proprie radici e delle proprie energie sono una icona di libertà. Dimostrano che è possibile un’esistenza dove il senso migliore della vita è lo scambio continuo di idee e di musica, di presenza e di solidarietà. Dentro a nazioni che disegnano linee sulle carte geografiche e le chiamano confini, difendendole con muri e barriere, in mezzo a persone che trovano il diverso una fonte di pericolo solo perché non provano a comprenderlo, restano un anelito di speranza, la visione di un mondo che può vivere assieme, e assieme… cantare.

Sempre Nomadi, ciao

Max

 

foto dal sito IL ROSSETTI

Mio caro,

quando ieri mi sono recata al concerto non avevo idea di cosa mi sarebbe capitato. Non sapevo cosa fosse assistere ad un concerto dei Nomadi. Alla biglietteria mi sono recata presto, verso le otto di sera mentre il concerto sarebbe iniziato dopo un’ora. Ho visto la pianta della sala e dei posti occupati e mi sono resa conto che parte del teatro sarebbe rimasto vuoto. La gente dietro me intanto continuava ad arrivare. Una folla di persone disciplinate che continuava a comperare il biglietto.

In sala allo spegnersi delle luci, mi sono resa conto che il teatro era pieno. Evidentemente in molti hanno aspettato di acquistare i posti all’ultimo momento. Mi sono guardata in giro ed ho visto striscioni appesi ovunque, sembrava d’essere allo Stadio.

Il concerto prevedeva un intervallo, ed è iniziato e finito allo stesso modo, con una luce puntata su un assolo alle tastiere di Beppe Carletti, poi l’ingresso degli altri: Danilo Sacco, nel suo saluto di addio al gruppo e al pubblico, Cico Falzone alle chitarre, Massimo Vecchi al basso e voce, Sergio Reggioli al violino, percussioni e voce, Daniele Campani alla batteria. Questa formazione che sta insieme da tredici anni è sempre accompagnata da un Popolo Nomade. Un gruppo di fan agguerriti che li seguono in quasi ogni parte del mondo.

Ci sistemiamo sulle nostre poltrone e iniziamo ad ascoltare il concerto. Finita la prima canzone, scatta l’applauso e inizia lo show. Tra loro iniziano a scherzare, a prendersi in giro e a lanciare messaggi di pace. Ogni canzone viene accompagnata da una bandiera, ora per l’indipendenza del Tibet, ora per la Pace, ora uno striscione d’affetto del pubblico, ora una stampa di loro con dedica. Ogni canzone viene accompagnata dalla lettura di uno degli innumerevoli biglietti di saluto che il pubblico ha preparato. Mi sembra d’essere ritornata al periodo delle feste a sorpresa con scherzetti e regalini. Sono ad un concerto o alla prova tra amici di quello che sarà il concerto stesso? Mentre me lo chiedo, la musica mi riavvolge. Hai ragione, sai? I loro testi sono davvero belli, e la musica… la musica, in quel misto di ballata celtica e cantata italiana risulta essere un abbinamento vincente.

Cantiamo anche noi, io e la mia amica, ma non forte come gli altri. Mi rendo conto che tutte le persone intorno conoscono a menadito ogni sospiro del testo. Guardiamo avanti tra il pubblico e scoppiamo a ridere: le teste avanti a noi si muovono ondeggiando tutte allo stesso modo. Ci sentiamo aliene in un pianeta dentro il quale vorremmo vivere.

Il cantante continua imperterrito nonostante una sua difficoltà fisica momentanea ed apprezzo il suo saper stare in scena. Non credo sia stato facile per lui prendere quel posto, al tempo, ma mi rendo conto che l’ha saputo fare davvero con maestria. Provo una fitta al cuore pensando alla sua scelta, al suo non poter più continuare questo percorso e alla strada che lo attende. Kakuen: nomade nella polvere del vento. Scopro con te questo suo essere monaco buddista laico, sposato con rito buddista. Scopro del loro monastero, della loro solidarietà. Scopro di loro molte cose, con te, prima e dopo questo concerto.

Durante l’intervallo ci spostiamo un paio di file più avanti, visto che c’erano dei posti liberi più avanti, per evitare il mal di mare. Lo sai vero, che quando noti per sbaglio un atteggiamento che a te risulta strano, alla fine finisci per soffermarti continuamente su esso? Bene, per evitare di riposare lo sguardo sulle teste ondeggianti ci siamo spostate per capire immediatamente di essere cadute dalla padella alla brace. Siamo capitate nel mezzo di un agguerrito gruppo di fan che si compiaceva del fatto di aver sentito tutte le canzoni richieste al gruppo. Una volta di più mi sono chiesta se fossimo a un concerto o a un incontro tra amici, e inoltre durante questa serata ho capito che c’è una parola d’ordine: Nomadi, sempre! gridata possibilmente alzando il pugno chiuso al cielo, e mi sono chiesta se questo volesse davvero lanciare anche un messaggio d’altro tipo che non fosse quello musicale.

Prima dei saluti il cantante ha ringraziato  i numerosi fan e ha chiesto se nella sala ci fosse qualcuno che non è mai stato ad un concerto dei Nomadi. Alziamo la mano in pochi, e mi sento imbarazzata quando Danilo inizia quello che chiama il battesimo dei Nomadi.

Finisce, mentre io continuerò a cantare di vagabondi e di dove nasce il sole, ritrovando nel cuore le tue parole che mi ricorderanno che…

il cuore dei nomadi è come il mare

è una appartenenza senza colori
                anzi no
con i colori del vento

Un Abbraccio nel vento

Laura

 

Laura Poretti Rizman

Sito ufficiale dei Nomadi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.