Re Lear

 

Confondere l’amore con la parola, è  il tema di questo Re Lear.

“Chi di voi mi ama di più?” la parola tradisce i fatti ed è in questo grande equivoco che spesso l’uomo non riesce a distinguere la realtà, lasciandosi sfuggire l’essenza di questo sentimento del quale siamo tutti così bisognosi.

Cordelia essendo l’unica a rispondere “Nulla” al padre che le chiede quanto lei lo ami, fa scattare in lui la molla della pazzia. Pazzia che mai risulta essere più lucida. “Dal nulla nasce nulla”, afferma Shakespeare attraverso la bocca di Lear, eppure da questo nulla invece nasce la sincerità di un cuore che nel momento del bisogno del padre sarà l’unica ad accorrere in suo aiuto.

Una scenografia scarna ma ricca i particolari che rendono attuale il tema scritto ben quattrocento anni fa da William Shakespeare. In scena una corona gigantesca mezza rotta e ribaltata, porta i volti di questo nostro vivere: Abraham Lincoln, Osāma bin Muhammad bin Awaḍ bin Lāden, Norma Jeane Baker in arte Marilyn Monroe, John Fitzgerald Kennedy, Papa Giovanni Paolo II nato Karol Józef Wojtyła, Adolf Hitler, per citarne solo alcuni. Un tubo gigantesco in cemento mostra evidenti segni di murales e di scritte d’anarchia e di libertà; ovunque spade. Un barile rotto, e un tavolo al centro della scena, dove si giocheranno i destini attuando strategie di morte e violenza contro i propri padri, fratelli, sorelle, amici. Tutti gli interpreti vestiranno a metà con abiti del periodo e a metà con abiti attuali incandoci una volta di più l’attualità del tema.

A lato della scena una persona legge in silenzio un libro, quasi fosse l’autore in persona a scorrere il copione nel suo svolgersi; invece è Edgar, il fratello buono.

Interessanti gli intrecci musicali e di figurazione di un matto giovane che scaccia quello vecchio a ritmo di rap.

Bugie continue per il possesso del potere porta l’umanità a dimenticare ogni fondamento d’amore e con l’arrivo del temporale lo scatenarsi della guerra, quasi fosse un segnale di disapprovazione da parte della natura. Suoni stridenti e cupi, voci di comunicazione radio in sottofondo di un ieri dove scontri di due aerei ci riportano al grande dramma delle torri gemelle, in questo oggi che non è per nulla diverso dal ieri.

In questa grande tragedia, l’amore puro di una figlia si leva in un canto celestiale, riuscendo a sollevare il padre e donandogli la speranza prima della morte di un mondo migliore.

Uno spettacolo che avvince anche per la bravura di tutta la compagnia.

 

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©Laura Poretti Rizman

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NOTE DI REGIA:

Io pure sono mortale e uomo come tutti gli altri, e sono nato da colui che per primo fu creato dalla terra. E nel ventre di mia madre fui plasmato in dieci mesi per essere carne: fui coagulato nel sangue dal seme dell’uomo e dal piacere che deriva dal sonno. E quando nacqui, ricevetti la comune aria e caddi sulla terra, che è di natura affine, da prima piangendo e gemendo come tutti gli altri. Fui avvolto in fasce e nutrito con grande cura. Nessun re ha avuto altro inizio di nascita. Tutti gli uomini entrano nella vita e similmente ne escono. (Libro della Sapienza) Lear,Tragedia della gravità

(Simone Weil)

Ho frequentato Shakespeare nei più teneri anni dell’adolescenza, improvvisando rappresentazioni notturne per i miei compagni paesani (ricordo un “essere o non essere” finito con un gavettone d’acqua), iniziai la mia carriera proprio come attore nel ruolo del “muro” nel “Sogno di una notte di mezza estate” con la regia di Orazio Costa; ho poi interpretato: il bastardo nel “Re Giovanni” con la regia di Fortunato Simone, Calibano ne “La Tempesta” con la regia di Sthreler, Petruccio ne “La Bisbetica Domata” con la regia di Dall’Aglio, MacBeth e Otello con la regia di Bellocchio e Calenda. Solo l’assidua frequentazione del mondo di Shakepeare in questi anni tormentati della nostra storia mi ha dato coraggio nel proseguire il cammino senza sorprendermi dell’orrore che noi uomini siamo capaci di scatenare………. – Re Lear esplora la natura stessa dell’esistenza umana: l’amore e il dovere, il potere e la perdita, il bene e il male, racconta della fine di un mondo, il crollo di tutte le certezze di un’epoca, lo sgomento dell’essere umano di fronte all’imperscrutabilità delle leggi dell’universo. All’inizio del dramma Lear rinuncia al suo ruolo, consegna il suo regno nelle mani delle figlie, si spoglia dell’essere Re, pilastro e centro del mondo, per tornare uomo tra gli uomini, rifarsi bambino e in pace “gattonare verso la morte”. Come un bambino pretende l’amore, Lear esige in cambio della cessione del suo potere, che le figlie espongano in parole i loro sentimenti per lui. Ma Cordelia, la più piccola, sa che l’amore, il vero amore non ha parole e alla richiesta del padre

può rispondere solo: “nulla, mio signore”. È questo equivoco, questo confondere l’amore con le parole, che, nel momento in cui le altre figlie si mostreranno per quello che sono, farà crollare Lear rendendolo pazzo. E con Lear è il mondo intero che va fuor di sesto, la natura scatenata e innocente riprende il suo dominio, riporta gli uomini al loro stato primordiale, nudi e impauriti, in balia di freddo e pioggia a lottare per la propria sopravvivenza, vermi della terra. È qui che può cominciare un crudele cammino d’iniziazione: resi folli o ciechi per non aver saputo capire o vedere, Lear e il suo alter ego Gloucester, accompagnati da figli che si son fatti padri, giungeranno finalmente a capire e vedere. Il palcoscenico in cui si muovono i nostri personaggi, è la distruzione del mondo. La storia di Lear è la storia dell’uomo, la storia di civiltà che si credono eterne ma che fondano il loro potere su resti di altri poteri, in un continuo girotondo di catastrofi e ricostruzioni, di macerie costruite su macerie. Scene in sé così vive e potenti da farci tornare alla mente una composizione poetica del ‘500 dal forte simbolismo: “Corpus Christis Carol” dal quale trasuda un fremito religioso che attraversa anche il testo shakespeariano. Da questo canto, tramandato nei secoli e rinnovato nella meravigliosa interpretazione di Jeff Buckley, la cui vita grottesca e drammatica ci ricorda personaggi come Edgar e il Fool, partirà la composizione della drammaturgia musicale, realizzata da Luca D’Alberto, che fonderà i profili di Cordelia con il Fool, del Fool con Lear, di Edgar con Gloucester, attraverso soluzioni armoniche e graffi timbrici. Che cosa ha dunque senso in questa tragedia? Quale speranza possiamo trarre? Forse solo la conoscenza di che cosa sia l’uomo di fronte all’universo, raggiunta attraverso un percorso di spoliazione in cui l’amore e la solidarietà si mostrano nella loro essenza terribilmente umana. Forse solo a questo, ad aiutare la creazione di questa consapevolezza, mira tutta l’opera di Shakespeare, a patto però che gli spettatori non dimentichino mai di trovarsi a teatro, che non cadano nell’illusione di un altro mondo, che sempre vedano il muro dietro la scena di cartone.

Michele Placido Francesco Manetti

foto fornita da La Contrada
foto fornita da La Contrada

Michele Placido al Teatro Orazio Bobbio in “Re Lear


Capolavoro di William Shakespeare, “Re Lear” sarà in scena al Teatro Bobbio dal 25 al 28 gennaio in un nuovo allestimento con Michele Placido, che ne firma anche la regia con Francesco Manetti, nel ruolo del titolo.
Re Lear esplora la natura stessa dell’esistenza umana: l’amore e il dovere, il potere e la perdita, il bene e il male, racconta della fine di un mondo, il crollo di tutte le certezze di un’epoca, lo sgomento dell’essere umano di fronte all’imperscrutabilità delle leggi dell’universo. Tematiche importanti che si rivelano tuttora attuali.
Il potere della parola sta al centro di questo dramma, e si intreccia con l’amore. Lear, infatti, stanco di regnare, decide di abdicare al trono e chiede alle sue tre figlie di esprimere a parole l’amore che le lega al padre; laddove Goneril e Regan abusano della parola per compiacere il genitore e per ottenere quello che desiderano, è la piccola Cordelia a fare i conti con la difficoltà di esprimere con delle semplici parole il sentimento forte che la lega al padre rispondendo “niente, mio signore”. Una risposta sincera che fa infuriare Lear, il quale la costringe ad allontanarsi dal regno che divide invece tra le altre due sorelle.

È questo equivoco – come spiega lo stesso Placido nelle note di regia – questo confondere l’amore con le parole, che, nel momento in cui le altre figlie si mostreranno per quello che sono, farà crollare Lear rendendolo pazzo. E con Lear è il mondo intero che va fuori di sesto, la natura scatenata e innocente riprende il suo dominio, riporta gli uomini al loro stato primordiale, nudi e impauriti, in balia di freddo e pioggia a lottare per la propria sopravvivenza, vermi della terra. È qui che può cominciare un crudele cammino d’iniziazione: resi folli o ciechi per non aver saputo capire o vedere, Lear e il suo alter ego Gloucester, accompagnati da figli che si son fatti padri, giungeranno finalmente a capire e vedere.”

Tutti i personaggi sono mossi dall’amore: misterioso, tenero, spietato è quello che lega il Matto al suo Re; estremo e disposto ad ogni sacrificio è quello di Edgar per il padre; virile e diretto quello di Kent per il suo signore. Libidinoso quello delle sorelle Reagan e Goneril per il giovane Edmund. Ed Edmund, il più gelido e calcolatore dei cattivi shakespeariani, nel momento estremo della sua morte, si consolerà dicendosi “eppure Edmund fu amato”, teneramente confondendo amore ed eros.

Infine Cordelia, inizio e fine del tutto, incapace di tradurre in parole i propri sentimenti, ma capace di agire, di mettersi a capo di un esercito e correre in aiuto delpadre, sarà lei il necessario capro espiatorio, colei che dovrà morire per redimere attraverso il suo amore buoni e cattivi, vivi e morti.

Il “Re Lear” è quindi un viaggio nell’amore, nella parola, nel mondo e nell’uomo stesso, che si rivela un’opportunità bellissima ma al contempo insidiosa per gli attori chiamati a dare vita a dei personaggi così tormentati ed affascinanti.
Si ritaglia il ruolo principale Michele Placido, che confessa nelle note biografiche una lunga frequentazione con i personaggi di Shakesperae; già l’inizio della sua carriera come attore parte dal ruolo del “muro” nel Sogno di una notte di mezza estate con la regia di Orazio Costa; interpreta in seguito il figlio bastardo nel Re Giovanni con la regia di Fortunato Simone, il Calibano della Tempesta diretto da Strelher, Petruccio nella Bisbetica Domata per la regia di Gigi Dall’Aglio, per arrivare ai ruoli protagonisti nel Macbeth e nell’Otello diretti rispettivamente da Marco Bellocchio e Antonio Calenda.
Accanto a Placido nel ruolo di Lear troviamo Gigi Angelillo a dar corpo e voce al Conte di Gloucester. Con loro in scena Margherita Di Rauso, Federica Vincenti, Francesco Bonomo, Francesco Biscione, Linda Gennari, Giulio Forges Davanzati, Brenno Placido, Alessandro Parise, Peppe Bisogno, Giorgio Regali, Gerardo D’Angelo e Riccardo Morgante.
L’allestimento in scena al Bobbio si avvale di una traduzione e di un adattamento firmati dallo stesso Placido con Monica Gungui. Le scene sono di Carmelo Giammello, le luci di Giuseppe Filipponio e i costumi di Daniele Gelsi, mentre le musiche originali sono di Luca D’Alberto.
Primo dei 3 spettacoli “blu” a quattro repliche e quinto spettacolo in abbonamento della Stagione di Prosa 2012/2013 della Contrada, “Re Lear” debutta venerdì 25 gennaio alle 20.30 e rimane in scena fino a lunedì 28 con i seguenti orari: sabato 26 e lunedì 28 ore 20.30; domenica 27 ore 16.30.
Prevendita dei biglietti, prenotazione dei posti e cambi turno presso la biglietteria del Teatro Bobbio o al TicketPoint di Corso Italia 6/C. Prevendita On Line: Circuito VIVATICKET by Charta (www.vivaticket.it).
Informazioni: 040.948471 / 948472 /390613; contrada@contrada.it; www.contrada.it.

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