L’agonia dell’università e della ricerca italiane

Negli ultimi anni mi è capitato spesso di leggere articoli su giornali o riviste che raccontavano lo stato della ricerca in Italia.
Quello che mi ha sempre colpito è che tutti, pur partendo da punti di vista differenti e discutendo di problemi differenti, tutti raccontano di una ricerca sotto finanziata e mal organizzata, tutti raccontano di una lenta agonia che si protrae da decenni.
In Italia si investe pochissimo in ricerca scientifica. Tanto per dare i soliti numeri, noi spendiamo appena l’1,1% del PIL in ricerca contro il 2,5% di Francia e Germania e il 3,6% della Svezia. Su questo pesa il fatto che il contributo dato dall’industria, rispetto ai paesi dell’Europa settentrionale, è praticamente nullo.
La scarsezza dei finanziamenti colpisce le Università e gli enti pubblici di ricerca (EPR). Ad ogni finanziaria, anno dopo anno, sono stati applicati tagli ai bilanci degli EPR riducendo, con la scusa di tagliare sprechi, la loro possibilità di fare ricerca e innovazione.
Con il passare degli anni (e dei tagli) gli EPR si ritrovano oggi con un’altissima percentuale del bilancio impegnata in stipendi e con forti difficoltà a finanziare i progetti di ricerca e supportare i propri ricercatori.
Io non credo tuttavia che la condizione in cui versano gli EPR dipenda solo da dati strutturali, macroeconomici, dalla crisi mondiale. Al fondo c’è anche un problema culturale e antropologico del nostro Paese.
La ricerca e, più in generale, la cultura scientifica non rappresentano un valore fondante ed imprescindibile della nostra società. Per questo un Ente di Ricerca viene etichettato come inutile anche se ha una produzione scientifica che lo pone tra i migliori al Mondo. Invece io credo che oggi più che mai i risultati del sapere siano necessari all’intera società, sono il motore che ci potrebbe permettere di uscire dalla profonda crisi economica che ci ha colpito.
I nostri vicini Europei se ne sono accorti ed infatti la Germania in questi giorni pur facendo una manovra correttiva da 80 milioni di euro taglia su “tutto” ma non sulla ricerca, a cui aumenta i finanziamenti. Gli Stati Uniti lo avevano già fatto lo scorso anno nella speranza di sostenere la ripresa. Per non parlare della Cina o dell’India.
Cosa succede oggi in Italia dopo la manovra varata il 31 Maggio e che tanta agitazione sta creando nel mondo della ricerca?
Si tratta dell’ennesimo taglio di bilancio agli EPR, quindi in pratica nulla di nuovo, eppure questa volta c’è qualche cosa di più.
Alcuni enti, tra cui l’Istituto Nazionale di Astrofisica, hanno rischiato di scomparire e si sono salvati solo grazie all’intervento del Presidente della Repubblica, ad altri è andata meno bene e sono scomparsi nei giochi di accorpamento. Sta di fatto che la manovra incide pesantemente sulla funzionalità degli EPR rimasti, modificandone profondamente la natura.
Da oggi al 2015, il numero dei ricercatori di ruolo scenderà di circa il 10% (stime della CGIL), questo grazie ad un meccanismo per cui nel triennio 2011-13 si potrà assumere a tempo indeterminato nel limite del 20% delle risorse derivanti dai pensionamenti, limite portato al 50% nel 2014 e che scompare dal 2015. Tuttavia, tra oggi e il 2015 ci sarà il famoso picco dei pensionamenti, quel picco che avrebbe dovuto rinnovare sostanzialmente il personale degli
EPR, atteso da anni dai moltissimi ricercatori precari.
E il picco ci sarà e forse anche prima del previsto, perché la manovra introduce anche degli importanti interventi in materia previdenziale che in qualche modo incoraggiano chi è nelle condizioni a chiedere il pensionamento prima che sia troppo tardi e si incappi nelle nuove normative.
A questo si aggiunga il taglio del 50% delle risorse destinate ai contratti flessibili (rispetto ai dati del 2009): i così detti ricercatori precari che non solo non saranno assunti, ma che rischiano anche di trovarsi senza lavoro, se non si procacceranno fondi esterni.
E questo non è tutto.
Per quelli che hanno la fortuna di essere assunti a tempo indeterminato ci sarà il blocco degli stipendi, degli scatti di anzianità, della carriera.
Questa manovra è un messaggio chiaro, senza mezzi termini: per la ricerca scientifica e i suoi Enti in questa Italia non c’è spazio. Sta a tutti noi ricordare che la ricerca e l’innovazione sono il cuore pulsante di un paese. Sta a tutti noi difendere la cultura.

Giuliano Taffoni
ricercatore INAF
(Istituto Nazionale di AstroFisica)

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