Anatomia dell’insurrezione popolare egiziana

Illustrazione dall'opuscolo d'azione egiziano

Inshallah: sia fatta la volontà di Dio.

Lo scorso martedì, 25 Gennaio 2011, è il giorno che già marca la storica sommossa del popolo egiziano, il quale ha finalmente trovato l’enorme coraggio necessario di scendere in massa nelle strade per esigere le dimissioni del proprio leader, presidente Hosni Mubarak, da trenta anni al potere. Ma un’insurrezione, innanzitutto pacifica, come questa può difficilmente considerarsi “spontanea”. Oltre ad una successione di fatti politici negli ultimi dieci anni e soprattutto varie iniziative sociali (per lo più soppresse da un governo sempre più autoritario), la principale forza dietro questo movimento è rappresentata dal diplomatico Mohamed al-Baradei.

Ci tengo a sottolineare questo per coloro che si ostinano a ricevere le loro notizie dalla RAI o da Mediaset, che con i loro “servizi” si limitano a fatti di violenza e di saccheggio e alla possibilità del rimpiazzo di Mubarak con il suo braccio destro, Omar Suleiman, capo dei servizi segreti, che la televisione italiana ha prontamente quanto inquietantemente affiancato all’immagine del tentacolare primo ministro russo, Vladimir Putin, senza fare alcuna menzione almeno del nome di al-Baradei. Intanto, è da venerdì scorso che in Egitto tutte le linee di comunicazione internet e dei telefoni cellulari sono state chiuse in prevenzione della protesta popolare. Uno governo che blocca il flusso di informazione ai propri cittadini dà segno di un governo in panico; così come, in proporzione alla severità dell’azione, ma anche alla sofisticazione dei mezzi, dimostra una certa coscienza del proprio grado di illegittimità nei confronti dei cittadini.

Chi è Mohammad al-Baradei?

Muhammad al-Baradei, 68 anni, è un diplomatico egiziano al quale fu conferito il premio Nobel per la pace nel 2005, in congiunzione con l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) presso la quale aveva lavorato come direttore generale per tre mandati dal 1997 al 2009. La sua parte dei proventi del premio furono dati in beneficenza ad organizzazioni per bambini orfani del suo paese. Al suo ritorno in patria dopo dodici anni, al-Baradei fu dapprima accolto con scetticismo da parte dei partiti di opposizione al governo al potere, in seguito alla percezione di un suo atteggiamento distante dalla faticosa condizione della politica egiziana, profondamente egemonizzata dal regime Mubarak. Tuttavia, col tempo le sue occasionali apparizioni hanno gradualmente galvanizzato un’opposizione fino ad allora disperatamente disorganizzata. Nonostante ciò, la sua appariva al massimo una guerra politica persa, visto che sotto l’attuale struttura costituzionale egiziana la candidatura richiede almeno 250 firme da parte di rappresentanti di ambedue le camere e consigli comunali, tutti estremamente dominati dal partito governante. Come se non bastasse, un emendamento passato nel 2007, introdotto da Mubarak, proibisce la piena supervisione giudiziaria del processo elettorale – l’ultimo baluardo di una garanzia minima a legittime elezioni. “Dicono sempre che devo rispettare le leggi e costituzioni”, affermava l’ex direttore generale dell’AIEA il settembre scorso al Cairo di fronte ad un folto pubblico di costituenti. “So che cosa si trova nelle leggi e nelle costituzioni, ma quello che abbiamo qui in Egitto non sono leggi, né costituzioni”.  Al-Baradei riuscì tuttavia ad ottenere vasto supporto raccogliendo un impressionante milione di firme in una petizione per riforme costituzionali per un paese più libero e democratico.

Nei mesi scorsi la sua scelta di non condurre una campagna entro un sistema elettorale non garantito dalla supervisione giudiziaria fu rafforzata dal richiamo ad un boicottaggio generale delle imminenti elezioni fissate al settembre del 2011, le seconde elezioni presidenziali nella storia dell’Egitto: “Secondo me è la maniera più facile, veloce e diretta di delegittimare il regime”, aveva  dichiarato in un’intervista esclusiva con il Daily Beast il settembre scorso.

La maggior parte dei partiti di opposizione, soprattutto i comunisti, si schierarono facilmente dietro il boicottaggio, ma per ottenere lo slancio necessario al-Baradei dovette vincere il supporto della più grande e più dinamica base d’opposizione: il partito politico Islamico della Fratellanza Musulmana. I leader di quest’ultimo erano dapprima divisi sull’idea di aderire al boicottaggio. Alcuni nel movimento volevano sfruttare il seppur minimo vantaggio ottenuto nelle ultime elezioni del 2005, quando furono per la prima volta ammessi a partecipare (a condizione che i candidati si presentassero come indipendenti dal movimento tuttora considerato illegale). Altri invece sentivano che il risultato di quelle elezioni li aveva danneggiati ancor di più e che il boicottaggio avrebbe offerto loro una possibilità di riscatto. L’abilità di ottenere supporto da entrambi i gruppi secolari come il Ghad e religiosi come la Fratellanza è stata la carta vincente per al-Baradei che ha così preso il governo di sorpresa.

26 pagine di strategia d’azione pacifica.

Come detto prima, un’insurrezione di questa portata non può essere percepita come “spontanea” e “disorganizzata”, se non nell’inconsapevolezza dei fatti sopra descritti. È facile capire come in tale ignoranza le cose possano apparire come un evento improvviso – come nate dal nulla. Vale anche la pena notare che in seguito all’insurrezione tunisina l’intero mondo Arabo, dal Marocco allo Yemen, è attualmente in uno stato di destabilizzazione. Gheddafi potrebbe essere il prossimo della lista.

Ma al contrario della Tunisia che ospita circa undici milioni di abitanti, gli 85 milioni che popolano l’Egitto richiedevano di certo una mobilizzazione organizzata per poter garantire una protesta quanto più pacifica possibile. Per realizzare questo, tra le altre cose, c’era bisogno di designare il luogo ed il tempo propizi.

Questi si concretizzavano al meglio il venerdì dopo le preghiere, quando una vasta parte della popolazione si riunisce in pacifica comunione. La distribuzione di un opuscolo di 26 pagine è stata essenziale, in quanto proprio su quelle pagine si invitava a produrre fotocopie dello stesso e ad astenersi dal discutere l’organizzazione sui vari social network, quali Facebook e Twitter, o via sms – tutti servizi altamente monitorati dalle forze di sicurezza. Da decenni infatti il corpo della sicurezza interna, che conta un totale di più di un milione e mezzo di agenti, e più di 80 mila incarcerazioni per ragioni politiche, soffoca ogni angolo ed ambiente del paese ed ha nel tempo condizionato ogni cittadino ad una profonda diffidenza reciproca, scoraggiando il dissenso.

L’opuscolo offre consigli tattici su come affrontare la polizia anti-sommossa e su come prendere controllo degli uffici del governo. Firmato “Lunga vita all’Egitto”, l’altrimenti anonimo libretto invita i dimostranti ad una protesta pacifica portando rose anziché stendardi e a marciare verso i palazzi di governo persuadendo poliziotti e soldati a schierarsi con loro. I cittadini sono inoltre invitati a radunarsi nei loro quartieri di residenza, distanti da polizia e truppe militari, per poi muoversi attraverso precisi itinerari verso installazioni chiave, quali il palazzo centrale delle telecomunicazioni, e di cercare di prenderne il controllo “in nome del popolo”. Altri obiettivi prioritari includevano il palazzo presidenziale e stazioni di polizia in diverse zone del Cairo. Il libretto include varie fotografie aeree della città per delineare itinerari e diagrammi di aggregazione della folla, con il suggerimento di slogan “positivi” quali “lunga vita all’Egitto”, e “abbasso il regime corrotto”. Nessun segno di slogan che possano ricondurre alla Fratellanza Musulmana. La guida suggerisce inoltre di indossare abiti con adeguati ripari quali giacche con cappucci, scarpe da ginnastica, occhialini di protezione, e sciarpe per ripararsi da gas lacrimogeni; e di reggere coperchi dei bidoni della spazzatura per difendersi dai colpi di manganello e proiettili di gomma – oltre a scatole di primo soccorso, e rose per simboleggiare le intenzioni pacifiche.

Ci sono anche diagrammi che mostrano come difendersi durante l’irruzione da parte dei ranghi dalla polizia anti-sommossa: “la cosa più importante da fare, è proteggerci a vicenda”, consiglia il libretto. È importante prevenire che la polizia irrompa in mezzo ai dimostranti, dice un avviso, se tentassero di farlo si dovrebbe ricordare loro che membri delle loro stesse famiglie potrebbero essere tra la folla di dimostranti.

Il libretto raccomanda inoltre di appendere cartelli ai balconi e alle finestre fornendo disegni di modelli per poster, ad esempio uno raffigurante un poliziotto a fianco di una donna in abiti da contadina ed una giovane donna in abiti moderni, sopra allo slogan “polizia e popolo contro il regime”. Un’altra immagine rappresenta il figlio di Mubarak che avrebbe potuto succedere al padre alla presidenza con le parole “dov’è papà adesso?”.

Andrea Tamburini

Fonti:

www.nytimes.com

www.guardian.co.uk

www.dissentmagazine.org

One thought on “Anatomia dell’insurrezione popolare egiziana

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.