Il borghese gentiluomo

La scena si apre su  di un teatro costruito all’interno di una corte di una probabile villa residenziale. Intorno ci sono molti recinti e porta con le barre quasi a simboleggiare un senso di prigionia che permette agli attori di apparire schiavi a seconda della posizione nella quale si mettono. Una buona recitazione  da parte di tutto il cast  fa eccellere il protagonista, Emilio Solfrizzi che non ha deluso l’aspettativa nel contesto comico e, con la sua esibizione mimica, appare come degno successore del grande Totò.
Musica e danza allietano la giornata del nuovo borghese che vuole essere soprattutto gentiluomo. Le arti vengono messe a confronto con lo sport e la diatriba su quale settore sia più importante per la formazione di un galantuomo non finirà su quel palcoscenico. Gli attori portano parrucche tutte uguali in taglio maschile, ed i costumi sono molto curati. La scena rimane fissa nel primo tempo, dove si svolge la storia di approfittatori che si alternano a filosofi, cercando di spillare danaro ad un ricco borghese che si appassione della voglia di conoscere dalle piccole alle grandi cose. 
Lo spettacolo mi è piaciuto molto ed ha offerto un pomeriggio sereno trascorso in allegria. Gli aspetti che ho gradito meno sono il mancato canto dal vivo e l’incontenibile risate malcelate a volte, scatenate dalla grande sintonia del gruppo, ma a ben pensarci, ci possono anche stare perchè trasmettono divertimento.
Una interpretazione allegra su di uno spaccato di vita dei tempi passati dove le donne non  contavano e venivano malconsiderate ma alla fine  grazie alla loro intelligenza, riuscivano a spuntarla ottenendo quello che volevano quasi sempre. Esibire in quel periodo questo pensiero era una forma di emancipazione che Molière offriva come spunto di partenza per un rinnovamento di pensiero.
Laura Poretti Rizman
 IL BORGHESE GENTILUOMO
CON EMILIO SOLFRIZZI
DA VENERDì 24 NOVEMBRE 2017
ORE 20.30 
TEATRO ORAZIO BOBBIO 
TRIESTE
Arriva il 24 novembre alla Contrada “Il Borghese Gentiluomo”, una produzione di Roberto Toni per ErreTiTeatro30 con la regia di Armando Pugliese, che vedrà in scena l’esilarante mattatore Emilio Solfrizzi e tutta la sua travolgente ironia.
Con inizio alle ore 20.30 nelle serate di venerdì 24, sabato 25 e lunedì 27 novembre, alle 16.30 invece per la replica pomeridiana della domenica, questa colorata farsa in due atti è semplice e lineare: narra di un ricco borghese, interpretato dal comico barese, volto noto del cinema e del piccolo schermo, il cui sogno è diventare nobile. In un susseguirsi di situazioni farsesche, ora chiassose poi allegre, l’aspirante borghese finisce vittima di molteplici inganni da parte di adulatori e scrocconi.
Per conquistare i tanto desiderati titoli che non possiede ingaggia una serie di maestri esperti di varie arti – dalla musica al ballo, dalla scherma alla filosofia – affinché lo istruiscano a dovere. Scelta che scatena una divertente ed assurda rivalità tra insegnanti: ciascuno di loro infatti, per carpire quanto più denaro possibile al facoltoso signor Jourdain, tenta di convincerlo con l’adulazione che la propria scienza rappresenta il fondamento imprescindibile per essere un vero gentiluomo.
Altro personaggio chiave della comédie-ballet è la moglie di Jourdain, interpretata da Anita Bartolucci: donna pratica e razionale che cerca di aprirgli gli occhi e di farlo rinsavire. Alla coppia fanno da contraltare i due rispettivi servitori, a loro volta innamorati: la simpatica servetta Nicole i cui panni sono indossati da Lisa Galantini e il servo Coviello, impersonato da Cristiano Dessì.
“Come l’avaro, come il malato immaginario, come l’ipocrita Tartufo – spiega Armando Pugliese nelle note di regia richiamando il grande teatro francese di Molière – anche questo borghese che sogna di diventare un gentiluomo è, nella cultura letteraria europea, un archetipo: è il modello esemplare e imprescindibile del nuovo ricco, dell’arrampicatore sociale, dell’ambizioso che pretende di comprare col denaro quei meriti e quei titoli che non avrà mai”. L’ambientazione, prosegue il regista, riguarda un tempo indefinito: “Non è la Francia del Seicento, dunque, ma piuttosto un non luogo e un tempo che ci risulta familiare, perché attraversando una cultura ormai geneticamente assimilata, ci fa riconoscere i giorni nostri”.

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