L’invenzione della solitudine

Un testo, quello di Paul Auster, che porta lo spettatore dentro uno dei tanti difficili rapporti tra padre e figlio, nell’intimità di una difficile comunicazione resa ancor più ardua dal fatto che ha subito violenze che hanno portato grandi silenzi.
Arriva sul palcoscenico dalla platea Battiston, con la  maestosità che gli compete. In sottofondo scorre la musica che Stefano Bollani ha composto per questo spettacolo.
Un figlio racconta la morte di un padre e attraverso l’urgenza della memoria che può svanire, desidera metter giù le parole, a comporre un testo, per far si che la vita finita da poco non sia vana e dimenticata.
Sulla scena un gigantesco specchio che riporta il figlio nel padre, attraverso un’emulazione di comportamenti che involontariamente si ripropongono.
Un insegnamento visivo che lascia una marcata impronta si riflette sopra ognuno di noi, e così la meditazione profonda che l’autore ci presenta è quella che prima o dopo chiunque è destinato ad affrontare. Gli oggetti che sopravvivono alla morte, parlano della persona scomparsa come pesanti ombre di spettri e vivono di vita propria nel tempo a seguire.
Splendido il passo che presenta le cravatte del padre, in quell’infinità di toni  e colori, che simbolicamente inneggiano agli obblighi che la vita gli ha posto, quasi fossero dei guinzagli. Cravatte come oggetti che riportano ad un passato, non troppo lontano, quando era d’uso portarle. Cravatte come simbolo sociale, ma anche come cambio di vita e di consuetudini, e soprattutto, cravatte come simbolo di solitudine.
Nel racconto scorre l’acqua e il suo mutare d’aspetto. Racconti di ghiaccio e di freddo raggelano la solitudine, e ci portano continuamente in mondi di specchi tra padri e figli, oppure in quelli di soffocamento dentro quella che noi definiremo casa.
Un padre morto che si specchia nel figlio vivo, è il filo conduttore di tutto il racconto che Battiston ha saputo interpretare con forza e potenza, lasciando giustamente trapelare il senso di fragilità umana.
©Laura Poretti Rizman
Battiston_3_ph_bepi_caroli, foto fornita da Il Rossetti
Battiston_3_ph_bepi_caroli, foto fornita da Il Rossetti
“Squadra di creatori di prima grandezza per L’invenzione della solitudine di Paul Auster: ne è protagonista Giuseppe Battiston, diretto da Giorgio Gallione. La star del jazz Stefano Bollani ne ha composto le musiche. Il monologo è  ospite del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per altripercorsi, il 28 febbraio e l’1 marzo alla Sala Assicurazioni Generali”.
«Gli oggetti di un morto sono spettri»: ne L’invenzione della solitudine la scenografia – un disordine di scarpe, vestiti, cravatte appartenute a un uomo da poco deceduto – traduce perfettamente questa battuta, e assieme riflette il caos che travaglia l’animo e le emozioni del figlio di costui, chiamato a “mettere ordine” e a fare i conti con l’improvvisa assenza di un padre assente, in realtà, da sempre…
Giuseppe Battiston, attore udinese, apprezzato al Rossetti fin dai suoi inizi – lo ricorderemo nel 1994 nella produzione dello Stabile Intrigo e amore e poi, recentemente, nelle belle prove di Orson Welles Roast e Macbeth – continua a coniugare successi cinematografici e teatrali (si è già assicurato ben due premi Ubu e tre David di Donatello) e proprio a questi ultimi appartiene L’invenzione della solitudine.
Ma l’interpretazione di Battiston non è l’unico punto d’interesse di uno spettacolo – ospite della stagione altripercorsi dello Stabile regionale il 28 febbraio e l’1 marzo al Politeama Rossetti – creato da una equipe d’artisti tutti di primo livello.
A partire da Paul Auster, cui si deve il romanzo autobiografico da cui è stato tratto il monologo.
Nato a Newark nel 1947, Paul Auster è attualmente uno dei primi nomi della letteratura contemporanea, scrittore, saggista, poeta, sceneggiatore e regista statunitense.
Adolescente, già scrive poesie: alla fine del liceo vive la non facile esperienza dello “smembramento” della sua famiglia, di origini ebree-polacche. Per due anni e mezzo Auster vive tra Parigi, Italia, Spagna e Irlanda. La sua carriera di romanziere inizia nel 1979 proprio con L’invenzione della solitudine subito un successo, nel 1985 arriva la consacrazione internazionale con la Trilogia di New York, composta da Città di vetro, Fantasmi e La Stanza Chiusa. Da questo momento Paul Auster diviene uno scrittore di culto e dalle poliedriche attività: scrive per il cinema (Smoke e Blue in the face) e diviene regista (Lulu on the Bridge).
Ne L’invenzione della solitudine, dunque, è proprio l’esperienza di figlio dell’ammirato scrittore statunitense ad essere raccontata. Il protagonista dona la propria intensità interpretativa al dolore e allo spaesamento che l’autore ha realmente vissuto e a cui la regia di Giorgio Gallione ha dato sostanza teatrale, con l’aiuto delle belle musiche di scena composte da Stefano Bollani.
«Ricordo – scrive Auster – che a 5 anni mi ero dato un nuovo nome, John, perché tutti i cowboy si chiamavano John, e ogni volta che mia madre mi chiamava usando il nome vero io rifiutavo di rispondere. Ricordo che mi sarebbe piaciuto essere uno scoiattolo, perché volevo essere leggero e capace di balzare di albero in albero come volando. Ricordo che il mio colore preferito era il verde, e che ero certo che il mio orsetto avesse nelle vene sangue verde.
E poi ricordo mio padre, come si protendeva sulla tavola per mangiare, con le spalle rigide, in un atto che gli serviva solo per alimentarsi, senza mai gustare il cibo».
Freddo e assente già da allora, questo padre muore inaspettatamente e il protagonista – ormai adulto – si ritrova nella grande casa di un genitore quasi estraneo, che ha abbandonato da anni la famiglia per ritirarsi in una solitudine caparbiamente distaccata dal mondo e dagli affetti.
Così, riscoprendo un padre semisconosciuto attraverso tracce labili, oggetti e carte, il protagonista riscopre i frammenti di un’esistenza che è in parte anche la propria, ripercorrendo la vita di un uomo che si è nascosto dal mondo. Una ricerca del padre scomparso che lo costringe a fare i conti con una perdita, una mancanza che lo strazia come persona e come figlio. Ma “la musica del caso” vuole che lo stesso Auster, proprio in quei giorni, stia per abbandonare la moglie e, ineluttabilmente, anche l’amatissimo figlio. In un mosaico di immagini, riflessioni, coincidenze e associazioni, il destino costringe così Auster a riflettere sulla difficoltà di essere insieme padre e figlio e su come il caso impercettibilmente governi le nostre vite.
Interprete e regista traducono con efficacia questa tempesta emotiva, questa riflessione intrisa di sentimenti, frustrazioni, solitudine, in uno spettacolo necessario e toccante.
L’invenzione della solitudine di Paul Auster con Giuseppe Battiston va in scena per la regia di Giorgio Gallione. Le scene e i costumi sono di Guido Fiorato e le musiche di Stefano Bollani. Firma le luci Aldo Mantovani. È prodotto dal Teatro dell’Archivolto con lo Stabile di Genova.
L’invenzione della solitudine è in cartellone al Politeama Rossetti solo sabato 28 febbraio alle ore 20.30 e domenica 1 marzo in pomeridiana alle ore 16.
I biglietti si possono acquistare presso tutti i punti vendita dello Stabile regionale, ed i consueti circuiti e accedendo attraverso il sito www.ilrossetti.it all’acquisto on line. Ulteriori informazioni al tel 040-3593511.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.