Una scenografia formata dall’immagine di una divisa apre la scena. I tartari sono l’esercito tanto atteso che dovrebbe arrivare, ma la storia è quella di Giovanni Drogo e della sua carriera militare. Le scene mutano nelle immagini proiettate sullo schermo; immagini che sono i disegni fatti da Buzzati stesso. Una donna con quattro occhi, le montagne e i suoi uomini, la fortezza Bastiani e il paesaggio circostante avvolto di silenzio, la città con il suo vociare di persone, amori, musiche e balli. Le parole scorrono sullo schermo e sono le parole di Buzzati: il suo scritto prende così forma e consistenza maggiore proprio perché riportato nella sua forma primordiale. Un piano e un canto, vari strumenti e un intercalarsi di movimenti lievi, davanti, dentro e dietro le immagini, donano tridimensionalità allo spettacolo.
La forza della solitudine e dell’appartenenza ad un gruppo in un contesto di rude bellezza.
Di tutto questo il protagonista si innamorò decidendo di trascorrere la sua vita in quel luogo.
E’ il racconto di una frontiera morta dove il nulla può dare apprensione. Apparentemente una frontiera inutile eppure le frontiere rimangono sempre frontiere e non si sa mai cosa può succedere. E’ il racconto di una vita in attesa di un evento che quando arriva in fondo è troppo tardi per esser vissuto appieno. Una vita trascorsa dove scintilla la solitudine ma scelta perchè nessun’altra soluzione poteva procurare maggior piacere.
Il racconto della paura dell’invasione straniera e la difesa disattenta dell’ultimo baluardo di frontiera.
Gli attori diventano reali personaggi del racconto di Buzzati prendendo vita nei suoi paesaggi. Il racconto di una appartenza a quanto sia circoscritto dalle mura della fortezza, e il racconto dell’esclusione di quanto sta al di fuori di quelle mura. Non importa neppure che sia un volto amico o amato, se si trova al di fuori merita la morte.
Una regia come da tempo non se ne vedeva e che vale la pena vedere.
In scena al Teatro Politeama Rossetti fino a domenica 15 gennaio 2017
Laura Poretti Rizman
“Sabato 14 gennaio alle 11.30 all’Antico Caffé San Marco si discute de Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati con il regista Paolo Valerio e gli attori della compagnia che porta in scena questo suggestivo spettacolo fino a domenica 15 al Politeama Rossetti. L’ingresso è libero”.
Il regista Paolo Valerio e tutta la compagnia dello spettacolo Il deserto dei Tartari, dal romanzo di Dino Buzzati, incontreranno il pubblico al prossimo appuntamento del ciclo “AperiTeatro” che si terrà sabato 14 gennaio alle ore 11.30 all’Antico Caffé San Marco.
L’ingresso sarà libero fino ad esaurimento dei posti disponibili.
Il deserto dei Tartari – in scena al Politeama Rossetti per la Stagione Prosa del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia – replica sabato 14 gennaio alle ore 20.30 e domenica 15 gennaio in pomeridiana alle ore 16.
Informazioni sul sito www.ilrossetti.it e al tel 040-3593511.
“Paolo Valerio firma adattamento e regia de Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati e ne è interprete assieme a una compagnia efficace e corale. Lo spettacolo debutta mercoledì 11 gennaio alle 20.30 al Politeama Rossetti per il cartellone di Prosa del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia: repliche fino a domenica 15”.
Arriva sul palcoscenico del Politeama Rossetti uno dei più significativi titoli della letteratura del secolo scorso: Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Il debutto sarà mercoledì 11 gennaio alle 20.30 per la Stagione Prosa del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, con repliche fino a domenica 15.
Il romanzo prende sostanza scenica grazie alla efficace chiave di lettura registica di Paolo Valerio che fonde alla perfezione il fascino della scrittura di Buzzati (che è sempre centrale e su cui si gioca addirittura sul piano iconografico, attraverso parole e pagine proiettate sulla scenografia) alla carica emotiva che appartiene al palcoscenico, alla recitazione, al portato coinvolgente degli interpreti.
Il nucleo portante del romanzo è qualcosa che ognuno prova, nel corso della vita: la fuga del tempo. Quella sensazione inquietante di “stallo”, di trascorrere la propria esistenza come sospesi in un’attesa di qualcosa che non si sa se verrà. È questo il senso metaforico di quei Tartari, che il protagonista – Giovanni Drogo – attende alla Fortezza Bastiani, un distaccamento militare ai confini del mondo, in cui si vive fra sonno e veglia, in una dimensione quasi onirica, aspettando il nemico.
Drogo vi giunge giovanissimo e speranzoso, da tenente, convinto di trascorrere pochi mesi in quel luogo dimenticato: ma la Fortezza lega a sé tutti i militari del battaglione in quella vana, sortilega attesa. La sua vita è cadenzata dagli obblighi e dai rituali militari, sempre uguale, disciplinata, monotona: senza rendersene conto ne viene fagocitato e la trascorre tutta in questo modo. Speranza e disillusione si alternano per tutti i commilitoni nei decenni, e l’arrivo del nemico all’orizzonte diviene quasi un’ossessione metafisica, che sostanzia la necessità dell’uomo di dare un senso alla propria esistenza.
In una breve licenza, anziché ritrovare l’armonia con il mondo reale, Drogo si convince dell’irreparabile cesura che lo separa dalla fidanzata e dagli amici della giovinezza. E quando finalmente i Tartari sopraggiungono, il protagonista sembra ricevere lo scacco finale: è invecchiato, malato, e quando è imminente l’attacco, lo congedano privandolo anche dell’estrema gloria.
Spesso questo è stato considerato il finale del romanzo, che si ammanta dunque di un’aura pessimista, tragica: avviene così, ad esempio, nel famoso film di Zurlini del 1976. Invece l’adattamento di Paolo Valerio restituisce a Il deserto dei Tartari il suo senso originale, positivo, il suo ultimo capitolo, che vede Drogo giocare una partita finale – da vincente – con la morte: la accoglie con dignità militare ed il sorriso sulle labbra.
L’ allestimento firmato da Paolo Valerio è impreziosito da scenografie che sgorgano dai disegni dello stesso Buzzati, dalle musiche evocatrici di Antonio Di Pofi e da una coralità arricchente che affida la voce e il punto di vista del protagonista a più interpreti, regalandogli una significativa molteplicità di echi e rifrazioni.
Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati va in scena dunque nell’adattamento teatrale e nella regia di Paolo Valerio ed interpretato da Alessandro Dinuzzi, Simone Faloppa, Emanuele Fortunati, Aldo Gentileschi (fisarmonica), Marina La Placa (theremin), Marco Morellini, Roberto Petruzzelli, Stefano Scandaletti, Paolo Valerio.
Ha curato i movimenti di scena Monica Codena, le scene sono di Antonio Panzuto, i video di Raffaella Rivi ed i costumi di Chiara Defant. Ha composto le musiche originali Antonio Di Pofi, le luci sono di Enrico Berardi, le immagini dello spettacolo sono tratte dai quadri di Dino Buzzati. Lo spettacolo è dedicato ad Almerina Buzzati. È una produzione del Teatro Stabile del Veneto.
Vissuto fra il 1906 ed il 1972, milanese (ma nato a Belluno) Dino Buzzati è ricordato a pieno titolo fra i grandi scrittori del Novecento. Ma identificarlo solo come scrittore è riduttivo: la sua è una figura d’artista eclettico e completo, dal segno forte in ogni ambito. S’interessa infatti di arte, di cinema, di pittura, oltre che di narrativa, giornalismo, drammaturgia…
La passione per la scrittura, il disegno e la montagna restano centrali nella sua vita: dopo gli studi di giurisprudenza, nel 1928 entra al Corriere della Sera. Vi svolge la sua intera carriera, passando da redattore a corrispondente di guerra, da inviato a elzevirista, a cronista d’arte. Nel 1939 racconta ai lettori la vita nella colonia italiana di Addis Abeba: ha già pubblicato i romanzi Bàrnabo delle montagne e Il segreto del Bosco vecchio, e consegnato all’editore Il Deserto dei Tartari, suo capolavoro. È poi richiamato alle armi e solo nel 1943, su richiesta della direzione del Corriere, rientra a Milano dove descrive i giorni difficili dopo l’armistizio a rischio di essere considerato collaborazionista. Non viene però messo al bando, ed è suo l’articolo Cronaca di ore memorabili sulla liberazione di Milano, apparso sul quotidiano senza firma. Mentre il giornale sospende la pubblicazione, fonda Il Corriere Lombardo con Gaetano Afeltra, Bruno Fallaci e Benso Fini per poi rientrare a fine 1946 al Corriere della Sera. In questi anni spazia come scrittore in generi diversi: La famosa invasione degli orsi in Sicilia è una favola illustrata per bambini, poi arrivano la raccolta di racconti Paura alla Scala e In quel preciso momento che raduna invece prose, abbozzi, pagine diaristiche. Siamo all’inizio degli anni Cinquanta: Buzzati assume anche la direzione della Domenica del Corriere, settimanale che riporta al successo, affronta poi il mondo del teatro con Un caso clinico per la regia di Strehler (tradotto da Albert Camus lo spettacolo va in scena anche a Parigi). E lo intriga il mondo musicale così il racconto Ferrovia sopraelevata segna l’inizio della collaborazione con il musicista Luciano Chailly, con cui firma altre tre opere. Nel 1958 il suo Sessanta racconti ottiene il Premio Strega e a Milano s’inaugura la sua prima personale di pittura; nel 1959 disegna i costumi di Jeu de cartes di Stravinskij per il Teatro alla Scala. Poi la fantascienza ne ll grande ritratto e nel 1963 le polemiche di Un amore. Da inviato conosce New York la Pop Art dove conosce. Dal 1965 pubblica le prime poesie, si sposa con Almerina Antoniazzi, scrive critiche d’arte per il Corriere, prepara Poema a fumetti in cui rilegge in chiave Pop Art il mito d’Orfeo, prepara i racconti e i disegni de I miracoli di Val Morel.
Il deserto dei Tartari debutta mercoledì 11 e replica fino a sabato 14 gennaio alle ore 20.30; domenica 15 gennaio si tiene la pomeridiana alle ore 16 alla Sala Assicurazioni Generali, per la Stagione Prosa del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.
Per abbonamenti “con le stelle” e per i posti ancora disponibili ci si può rivolgere presso tutti i punti vendita dello Stabile regionale, i consueti circuiti o accedere attraverso il sito www.ilrossetti.it alla vendita on line. Ulteriori informazioni al tel 040-3593511.