Protesta dell’Università italiana: il silenzio è d’oro.

Il 15 Ottobre il DDL Gelmini, già approvato al Senato il 29 luglio 2010, verrà discusso alla Camera.

Si tratta di un disegno di legge che vuole riorganizzare il sistema universitario proponendo modifiche strutturali. Prevede fusione di atenei e razionalizzazione dell’offerta formativa, proposito più che sensato di per sé, se fosse stato formulato con l’interesse di migliorare la situazione attuale. Ma non solo, si prevede l’ingresso delle “fondazioni” nell’ambito dell’amministrazione degli atenei (dunque un allontanamento dal concetto di università Pubblica) ed una significativa riduzione della rappresentanza studentesca negli organi di gestione, insieme ad un contemporaneo aumento di membri esterni (con i loro rispettivi interessi esterni all’Università) nel Consiglio d’Amministrazione.

Il dissenso dei ricercatori nasce dai seguenti fatti:

– viene confermato il prolungamento del blocco del turnover nelle assunzioni nella pubblica amministrazione fino al 2014. Per l’università, nella prospettiva dell’uscita dai ruoli di chi è prossimo alla pensione (ben il 30% dei docenti), e che non sarà sostituito da nuove assunzioni, sarà impossibile garantire gli stessi livelli di servizio e di offerta formativa;

– i tagli al fondo di finanziamento ordinario dell’università vengono prolungati nel tempo, arrivando al 2015. Si tratta di tagli indiscriminati e pesanti;

– le progressioni stipendiali dei ricercatori vengono congelate dalla manovra per tre anni (art. 14). Il ricercatore neoassunto si vedrà decurtata la retribuzione di quasi 1600 euro annui, i ricercatori in servizio da nove anni avranno un taglio pari a 4.745 euro annui.

Tagli, pensionamenti, prospettive negate ai giovani che vogliono fare ricerca…cosa ne sarà dell’Università nel suo complesso?

Pagheranno gli studenti, che dovranno sostenere tasse più pesanti per avere una didattica molto meno valida e pagherà il nostro paese: senza ricerca e sviluppo, la nostra economia non si rafforzerà di certo.

Un’obiezione facile alla protesta è che pare che si voglia solo mantenere tutto com’è. E’ indubbio che vi sia necessità di una riforma che migliori i malfunzionamenti presenti nell’Università italiana, ma il DDL Gelmini non fa che preservare i poteri esistenti e peggiorare il sistema nel complesso.

Un’altra obiezione sarebbe dire che se comunque l’università è popolata da cialtroni che non combinano nulla di buono, tanto vale tagliare i fondi alla ricerca. Ma basta controllare alcuni dati per vedere che l’Italia, nonostante tutto, ha una produzione scientifica di tutto rispetto, migliore rispetto a paesi dove le condizioni della ricerca sono più favorevoli.

Fino a qui, il quadro già sembra buio. Eppure non è finita. In queste settimane studenti, ricercatori, facoltà e atenei sono in agitazione in tutta Italia. Molte facoltà hanno sospeso la didattica per dare un segnale di dissenso forte, eppure i mezzi di informazione sembrano non accorgersene.

Per sapere cosa succede in altre università, bisogna affidarsi a contatti personali con chi sta altrove, in altre parole i media stanno riuscendo a farci sentire soli, isolati e inascoltati nella protesta. Coloro che non studiano o lavorano in ambito accademico vivono nella disinformazione completa dei fatti, fatti che influenzando tutto il paese, come visto sopra, riguardano anche loro.

Io sono una studentessa dell’Università di Trieste, la “Città della Scienza”, come ricordano media e politici locali quando vogliono farsi belli in occasioni ufficiali. E mi ribello all’essere soffocata silenziosamente nell’indifferenza del mio paese. Chiedo dunque a chiunque stia leggendo di dar voce al grido di agonia dell’Università italiana.

Celeste Damiani

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