Stalingrado: la grande svolta della II guerra mondiale [1942 -2012]

Fernand Leger - Musee National Fernand Leger - Stalingrad

Sono trascorsi esattamente 70 anni dalla battaglia che segnò la vera, grande e decisiva svolta nella seconda guerra mondiale, battaglia che dal settembre del 1942 si svolse e proseguì fino al febbraio 1943, quella cioè per spezzare l’immane e tragico assedio della città di Stalingrado. Essa significò l’inizio della sconfitta delle forze della barbarie e, senza dubbio, si può affermare essere stata determinante per la sorte dell’inumano conflitto, facendo precipitare nell’oscurità i demoni del nazismo. Questi erano emersi alla storia del novecento dell’ Europa, riuscendo a ingannare e offuscare le menti di tutto un popolo, e affascinare ingannevolmente giovani di più nazionalità. L’aggressione avvenne verso la metà del settembre 1942, quando i tedeschi, dopo aver raggiunto il Volga, a nord della città di Stalingrado (ora Volgograd) sferrarono l’attacco alla città sovietica per un oscuro disegno del potere hitleriano.

Stalingrado, occupata militarmente, seppe poi reagire e resistere con fermezza e dignità alla tremenda forza scatenata dalle armate corazzate e da quelle di terra del terzo Reich, fino alla conclusione della lunga battaglia con l’accerchiamento a tenaglia della Sesta Armata di Von Paulus, da parte del generale Tymocenko. Città martire, con la relativa popolazione stremata e affamata ma non nel morale. Ogni elemento orografico, industriale e urbano che attorniava la città fu disperatamente utilizzato per creare un sistema di strenua, tenace resistenza e di accanita difesa. I tedeschi raggiunsero il centro della città il 15 settembre 1942, dopo violenti scontri a fuoco e con molti mezzi corazzati, anche per lo stato di euforia che colse Hitler dopo il successo delle sue truppe in Ucraina (Kiev venne occupata nell’agosto e ben 665.000 soldati russi vennero fatti prigionieri, con un bottino di 884 carri armati e 3.018 pezzi di artiglieria (Ian Kershaw, Hitler 1936-1945, Bompiani edizioni, Milano 2001).

Il piano consisteva – in sintesi – nel privare i sovietici “dei rifornimenti di carbone e della base della propria produzione di armamenti, una volta caduta in mano ai tedeschi Stalingrado” (Op. cit.). Conseguentemente Leningrado, patria del socialismo sovietico, secondo il dittatore di Berlino, sarebbe stata distrutta e rasa al suolo per l’inevitabile carenza di cibo e rifornimenti destinati a 5 milioni di abitanti. La guerra sarebbe stata, allora, vinta (da un colloquio con Goebbels nel 23 settembre 1942 – Osobyi Arkiv , Mosca 500-1-25). Durante l’assedio furono talmente scarse le scorte di pane, farina e avena che la popolazione fu costretta a cibarsi di radici, cani randagi o carcasse di cavalli. Fu preso, come sistema di alimentazione di sopravvivenza, persino un “immondo impasto di torba e carta. Il numero dei deceduti per fame, freddo e malattie oscillò dagli 850.000 ai 950.000 uomini”. Stalin , peraltro, seppe fare leva, intelligentemente, sull’amore verso il proprio paese da parte genti russe, proclamando la “Guerra patriottica”. E così essa fu sentita da tutta la popolazione, unita fraternamente per la difesa della comune terra, la grande madre assalita con “inabituale” ferocia. Il 19 novembre, infatti, con notevole forza di fuoco e grande animosità, di soldati e volontari partigiani, di uomini, donne e ragazzi russi ancora giovanissimi , venne effettuata con grande slancio, una coraggiosa e possente controffensiva – muovendo dalla steppa dei Calmucchi – che vide, alla fine, gli assedianti tedeschi divenire assediati dai russi, comandati dal generale Tymocenko. Essi riuscirono abilmente a stringere a tenaglia, in una ferrea morsa, le armate del III Reich e in particolare la VI di von Paulus. Fu il riscatto di un grande popolo, unito da una comune idea: la difesa della grande patria di tutte le Russie. Costretti ormai a difendersi, i tedeschi si rinchiusero nella sacca (Kessel) di Stalingrado, divenuta la loro grande prigione. Nella controffensiva vennero impiegati un milione di uomini, 1.200 carri armati, 17.000 pezzi di artiglieria, 120 batterie lanciarazzi e 1.200 aerei. La belva del nazionalsocialismo, ormai ferita e barcollante, accusò il primo, duro colpo durante una guerra fino ad allora vittoriosa e in seguito non poté più rialzarsi prepotente e pericolosa come un tempo. Le truppe germaniche cercarono di resistere accanitamente ancora per due lunghi e sofferti mesi, finché von Paulus, contravvenendo agli ordini ormai schizofrenici del Führer, si arrese il giorno 2 febbraio 1943. Dei 330.000 uomini della VI armata di von Paulus rimasero ormai solo 91.000 unità, avviate ai campi di prigionia. Oltre ai tedeschi parteciparono alla grande battaglia, truppe rumene, finniche, croate e, particolare curioso, 77 genieri italiani, dei quali solo due sopravvissero.

Finalmente le ali dell’aquila nazista vennero spezzate, o quasi, e non poterono volare più in alto, come un tempo, con  arroganza ed effettuare gli atti di criminalità indicibili della prima offensiva, nel contesto di una “guerra di annientamento” verso la popolazione. L’ombra della sconfitta si allungava, da allora, sempre più verso Berlino e il 27 gennaio 1945 i funerei cancelli di Auschwitz, campo di barbarie e di morte, furono abbattuti dall’Armata Rossa. Von Paulus, dopo una lunga prigionia, venne rilasciato nel 1956 e andò a vivere nella DDR, la Germania dell’Est, a regime socialcomunista.

Con la battaglia di Stalingrado il mondo, si può ormai dire, seguiva un corso più umano, senza più avere immanente il volo del cupo rapace nazifascista. A settantanni da quella battaglia, di indubbia rilevanza storica per l’umanità, ricordiamo coloro che permisero la vittoria della civiltà sulla barbarie.

Stalingrad
1942 – 2012

Claudio Cossu

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