Artemisia Gentileschi

Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente

Bertolt Brecht

Più di venti persone in attesa alla biglietteria del Teatro Politemana Il Rossetti per le tre repliche di Artemisia Gentileschi.
Uno spettacolo importante e degno di annunciare la settimana che vede l’attenzione dei media rivolta alla campagna contro la violenza sulle donne, questa Artemisia Gentileschi di Lino Marazzo.
Si racconta la storia di una pittrice figlia d’arte vissuta nel 1500 che attraverso l’espressione artistica ha in maniera evidente dimostrato la sua rabbia contro la violenza subita.
Al chiarore di una candela, appare sullo sfondo l’enorme quadro dell’artista, che supera addirittura in crudezza e drammaticità  l’esecuzione del Caravaggio.
Il padre, interpretato magistralmente da Fulvio Falzarano, svela pian piano i suoi torbidi intenti nei confronti della figlia; quest’ultima, interpretata da Silvia Siravo, mostra il suo lato acerbo dapprima, ma di innumerevole forza man mano che la storia di dipana.
Una donna che ieri come oggi, come ben ricorda il regista alla fine dello spettacolo, donando al pubblico la lettura dell’ultima lettera di Reyhaneh Jabbari alla madre, impiccata per aver ucciso a diciannove anni il suo sturpatore. Oggi come ieri, non solo all’estero, dove tutto sembra lontano: a Roma, ogni giorno nel 2013 sono state denunciate due vittime  donne per atti di femminicidio, e queste sono solo le relazioni pubbliche di omicidio.
Ancor oggi l’umiliazione nelle denunce femminili di violenza nei loro confronti vengono infangate nella purezza e nella moralità.
Nel mondo di frequentazioni artistiche di grandi nomi, quali Caravaggio, Galileo, Buonarotti, Artemisia cresceva nell’istruzione e nella forza, ma nonostante questo, la sua denuncia, seppur avallata inizialmente dal padre, ha prodotto per lei sono un’onta. Ad oggi non possiamo dire che le cose siano completamente mutate, e questo in cinquecento anni di storia e di evoluzione non risulta essere un successo.
I Processi verso le Donne sono sempre, Tutti Uguali.
©Laura Poretti Rizman
Reyhaneh Jabbari è stata impiccata in Iran nell’ottobre 2014, nonostante gli appelli internazionali a suo favore.
Reyhaneh era stata condannata a morte  per aver ucciso un 47enne ex funzionario dell’intelligence.

“Cara Sholeh, oggi ho appreso che ora è il mio turno di affrontare la Qisas (la legge del taglione del regime iraniano). Mi ferisce che tu stessa non mi abbia fatto sapere che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Non credi avrei dovuto saperlo? Lo sai quanto mi vergogno perché sei triste. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà?

Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella orribile notte io avrei dovuto essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificare il mio corpo e là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L’assassino non sarebbe mai stato trovato, dato che noi non siamo ricchi e potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua vita soffrendo e vergognandoti e qualche anno dopo saresti morta per questa sofferenza e sarebbe andata così.

Ma con quel maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da qualche parte ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. E ora nella prigione-tomba di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita.

Tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare la lezione e che a ognuno che nasce viene messa una responsabilità sulle spalle. Ho imparato che a volte bisogna lottare. Mi ricordo quando mi dicesti di quel vetturino che si mise a protestare contro l’uomo che mi stava frustando, ma che quello iniziò a dargli la frusta sulla testa e sul viso fino a che non era morto. Tu mi hai detto che per creare un valore si deve perseverare, anche se si muore.

Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che si deve essere una signora di fronte alle discussioni e alle lamentele. Ti ricordi quanto notavi il modo in cui ci comportavamo? La tua esperienza era sbagliata. Quando è accaduto questo incidente, questi insegnamenti non mi hanno aiutato. Essere presentabile in tribunale mi ha fatto apparire come un’assassina a sangue freddo ed una spietata criminale. Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata, perché avevo fiducia nella legge.

Ma sono stata accusata di rimanere indifferente di fronte ad un crimine. Lo sai, non uccidevo neanche le zanzare e gettavo via gli scarafaggi prendendoli dalle antenne e ora sono diventata un’assassina volontaria. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato come un comportamento mascolino e il giudice non si è neanche preoccupato di tenere in considerazione il fatto che all’epoca dell’incidente avevo le unghie lunghe e laccate.

Quant‘è ottimista colui che si aspetta giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai contestato il fatto che le mie mani non sono ruvide come quelle di uno sportivo, specialmente un pugile. E questo paese per il quale tu hai piantato l’amore in me, non mi ha mai voluto e nessuno mi ha sostenuto quando sotto i colpi degli inquirenti gridavo e sentivo i termini più volgari. Quando ho perduto il mio ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata ricompensata: 11 giorni in isolamento.

Cara Sholeh, non piangere per ciò che stai sentendo. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia una vecchia agente zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non viene ricercata in quest’epoca. La bellezza dell’aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce.

Mia cara madre, la mia ideologia è cambiata e tu non ne sei responsabile. Le mie parole sono eterne e le affido tutte a qualcun altro, in modo che quando verrò giustiziata senza la tua presenza e senza che tu lo sappia, ti vengano consegnate. Ti lascio molto materiale manoscritto come mia eredità.

Però, prima della mia morte voglio qualcosa da te, qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze e in ogni modo possibile. In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te. So che avrai bisogno di tempo per questo. Perciò ti dirò una parte delle mie volontà presto. Ti prego non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la mia richiesta. Non posso scrivere una simile lettera dalla prigione che venga approvata dal direttore della prigione. Perciò dovrai di nuovo soffrire per causa mia. E’ l’unica cosa per la quale, se implorerai, non mi arrabbierò anche se ti ho detto molte volte di non implorare per salvarmi dall’esecuzione.

Mia dolce madre, cara Sholeh, l’unica che mi è più cara della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome, compratemi un mazzo di fiori, oppure pregate per me. Te lo dico dal profondo del mio cuore che non voglio avere una tomba dove tu andrai a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via.

Il mondo non ci ama. Non ha voluto che si compisse il mio destino. E ora mi arrendo ad esso ed abbraccio la morte. Perché di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli ispettori, accuserò l’ispettore Shamlou, accuserò il giudice e i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di minacciarmi. Nel tribunale del creatore accuserò il Dr. Farvandi, accuserò Qassem Shabani e tutti coloro che per ignoranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male ed hanno calpestato i mie diritti e non hanno prestato attenzione al fatto che a volte ciò che sembra vero è molto diverso dalla realtà.

Cara Sholeh dal cuore tenero, nell’altro mondo siamo tu ed io gli accusatori e gli altri gli accusati. Vediamo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene”.

foto fornita da Il Rossetti
foto fornita da Il Rossetti
Artemisia Gentileschi scritto e diretto da Lino Marrazzo debutta alla Sala Bartoli dello Stabile regionale venerdì 7 novembre e replica fino a domenica 9. Ripercorre la figura forte della pittrice e il suo morboso rapporto con il padre. Un rapporto ricco di tensioni reso in scena da Fulvio Falzarano e Silvia Siravo. L’attualità  dell’argomento fa della piéce un momento di riflessione legato ad un progetto contro la violenza sulle donne. Per questo motivo una replica in mattinée sarà riservata agli studenti delle scuole superiori”.
«Chi penserebbe che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre diacce degne d’un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato (…) Ma – vien voglia di dire – questa è la donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo? (…) che qui non v’è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di chi ha dipinto…» con quanto stupore il critico Roberto Longhi commentava, nel 1916, uno dei capolavori di Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne.
In effetti gli studiosi intravvedono in questo ed in altri suoi quadri i segni del dolore e dell’odio provocati in lei da una grave violenza subita, ma anche gli indizi di una personalità emancipata e nonostante tutto forte.
Personalità al centro di Artemisia Gentileschi spettacolo di Lino Marrazzo che va in scena da venerdì 7 a domenica 9 novembre alla Sala Bartoli del Politeama Rossetti.
Si tratta di un allestimento e testo inedito che Scuola di Musica 55 in collaborazione con il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e con il contributo dell’Assessorato Pari Opportunità della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, presentano a Trieste per la prima volta, legato a un progetto dedicato alla promozione e divulgazione della cultura contro la violenza sulle donne.
Nata nel 1593 a Roma da Prudenzia e Orazio Gentileschi, Artemisia rimane orfana di madre e cresce con il padre pittore che la avvia all’arte sotto influenze caravaggesche. Mostra un talento immediato e potente, ma si scontra con i limiti della condizione femminile di allora. Di lei non si conosce molto altro, se non le note di uno scarno diario, la sua pittura, gli atti di un doloroso processo per lo stupro subito da un pittore amico del padre, il quale a propria volta le riserva morbose attenzioni.
Proprio questo rapporto padre-figlia, pieno di chiaroscuri, ha sollecitato la fantasia di Lino Marrazzo, interessante autore e regista triestino cui si deve uno spettacolo ricco di tensioni emotive e di input attuali, costruito sul vivido confronto psicologico fra un’appassionata Artemisia (interpretata da Silvia Siravo) e suo padre, a cui Fulvio Falzarano (reduce dal successo nello spettacolo di produzione dello Stabile Il tormento e l’estasi di Steve Jobs) saprà donare luci e ombre, tratti duri e dissoluti.
Taglio preoccupantemente attuale, quello scelto da Marrazzo: fa dello spettacolo un momento significativo in un progetto dedicato alla promozione e divulgazione della cultura contro la violenza sulle donne.
Proprio l’attualità del tema ha indotto a riservare una replica straordinaria dello spettacolo – che si terrà lunedì 10 novembre in mattinée – agli studenti delle scuole superiori che seguiranno Artemisia Gentileschi nell’ambito del già citato progetto dedicato alla promozione e divulgazione della cultura contro la violenza sulle donne dell’Assessorato Pari Opportunità della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.
Artemisia Gentileschi scritto e diretto da Lino Marrazzo con Fulvio Falzarano e Silvia Siravo e con gli effetti sonori di Maurizio Bressan, va in scena da venerdì 7 a domenica 9 novembre alle ore 21. Domenica 9 invece, come di consueto, la recita è solo pomeridiana con inizio alle 17.  I pochi posti ancora disponibili si possono acquistare presso tutti i punti vendita dello Stabile regionale, i consueti circuiti e accedendo attraverso il sito www.ilrossetti.it alla vendita on line. Ulteriori informazioni al tel 040-3593511.

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