Villa Manin, Esedra di levante, Passariano di Codroipo (Udine) 11 ottobre 2025 – 12 aprile 2026
Mostra ideata e curata da Marco Goldin
promossa dalla Regione Friuli Venezia Giulia e da ERPAC FVG all’interno del programma di “GO! 2025&Friends”
per celebrare Nova Gorica – Gorizia Capitale europea della Cultura
Organizzazione
ERPAC FVG – Ente Regionale per il Patrimonio Culturale del Friuli Venezia Giulia Linea d’ombra
Ben 130 capolavori di una cinquantina di grandi artisti dell’Ottocento e del Novecento e provenienti da 42 musei europei e americani. Una mostra unica, di respiro internazionale e allestita negli spazi restaurati dell’Esedra di levante del magnifico complesso dogale di Villa Manin a Passariano di Codroipo, in provincia di Udine.
È “Confini da Gauguin a Hopper. Canto con variazioni”, l’attesissima esposizione che apre al pubblico l’11 ottobre, uno degli eventi di punta di GO! 2025&Friends, il cartellone di appuntamenti che affianca il programma ufficiale di GO! 2025 Nova Gorica – Gorizia Capitale europea della Cultura, offrendo proposte culturali in tutto il territorio regionale.
Promossa dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dall’Ente Regionale per il Patrimonio Culturale – ERPAC FVG, la mostra è stata ideata e curata da Marco Goldin, con l’organizzazione dello stesso ERPAC FVG e di Linea d’ombra.
In quello che potrebbe essere definito a pieno titolo il “museo ideale” dell’arte internazionale degli ultimi due secoli, i visitatori vengono accompagnati in un emozionante percorso delle meraviglie e poi coinvolti in un piacere visivo che va di pari passo con il coinvolgimento e la riflessione intorno a un tema di eterna attualità, quello dei “confini”: fisici, geografici, culturali, i propri intimi confini, il qui e l’altrove, il qui che si fa altrove, confine come limite e come punto di partenza…
La mostra prende avvio da una sala introduttiva, che già ne delinea i contenuti: alcuni capolavori, anche di grandi dimensioni, come le opere di Anselm Kiefer e Mark Rothko, dove il confine si fa, seppure in modo diverso tra i due, dilagante, a fissare linee che sono orizzonti. E ancora la famosissima “Onda” di Gustave Courbet, movimento verso l’immenso. Per poi andare a Monet che, con “La chiesa di Varengeville”, va a proporre spazi sul mare di cui non si intravede la fine. Infine, un Cezanne provenzale, quella sorta di altrove domestico che ricerca i confini non solo nelle isole tropicali alla maniera di Gauguin.
Il primo capitolo della mostra è riservato al confine interiore, allo sguardo dentro sé stessi, all’autoritratto. La sequenza è mozzafiato: Munch, Gauguin, Van Gogh, Hodler, Kirchner… Poi la galleria di splendidi ritratti: Courbet, Manet, Degas, Renoir, Modigliani, Bacon, Giacometti, nella ricerca nei volti di un confine quotidiano, anche con tutte le “bruciature” novecentesche.
Le successive sale (la seconda, fondamentale area) sono dedicate al rapporto tra l’uomo e la natura, figure e spazio soprattutto nella grande pittura americana tra Ottocento e Novecento. Molte sono le opere che per la prima volta giungono in Italia e in Europa, dai protagonisti della “Hudson River School” per giungere alla figura chiave di Homer a cavallo tra i due secoli, e poi nel Novecento soprattutto Hopper e Diebenkorn, due artisti che hanno reso la pittura americana uno scrigno di meraviglie. Infine, le modulazioni fantastiche di Andrew Wyeth. Per tornare quindi in Europa con l’interpretazione del rapporto figure e natura in grandi maestri come Segantini, Böcklin e Matisse.
“Alla ricerca del Paradiso perduto” potrebbe essere indicato come tema della terza, ampia sezione. Eden esotici o più prossimi, espressi in opere universali, pietre miliari della storia dell’arte, da Gauguin a Monet, da Van Gogh a Cezanne e Bonnard.
Quando la ricerca dei confini non porta gli artisti verso la dimensione del lontano, accade che quei confini si spingano a farsi vicinanza, confidenza d’immagini altrimenti distanti. A questo è dedicata la quarta sezione, dove una quarantina di straordinarie xilografie giapponesi, raccolte in due successive sequenze (per non esporre troppo a lungo alla luce quei fogli preziosi), sono presenti. Provengono da un’unica collezione privata, con i maggiori nomi dell’ukiyo-e, da Utamaro a Eisen, da Hokusai a Hiroshige.
Monet e Van Gogh possedevano molte centinaia di quelle xilografie. L’arte, e quella francese in primis, ne fu ampiamente toccata. Il confine si tendeva al di là degli oceani e raggiungeva chi aveva lo spirito giusto per accogliere quel mondo incantato.
Tutto questo, già tantissimo, non è che il preludio per il gran finale di una mostra che resterà nella memoria di chi avrà la fortuna di ammirarla.
Impossibile sintetizzare ciò che attende i visitatori nella quinta sezione, che occupa l’intero piano terra dell’Esedra, con quasi 60 opere che conducono verso i diversi confini compresi negli elementi naturali: montagne, mari, cieli e infine l’Universo. Insieme ad artisti come Caspar David Friedrich, l’immenso romantico tedesco, anticipatore tra l’altro delle atmosfere della pittura americana dell’Ottocento, di Cole, Bierstadt e Gifford.
A irrompere, a questo punto, è la montagna Sacra di Cezanne, la Sainte-Victoire, affiancata alle alpi svizzere di Segantini, a saldare l’immagine di vette con l’eterno della natura.
E il mare, confine da percorrere e attraversare: William Turner e Gustave Courbet, poi Monet. E ancora, Bonnard, Nolde, De Staël, qui in una sequenza mozzafiato nel segno dell’arancio del tramonto.
Il cielo, sopra a tutto, quando a interpretarlo sono Friedrich, Turner, Constable, Boudin, per sfociare infine nei cieli impressionisti di Monet, Sisley, Pissarro. Il passaggio tra Ottocento e Novecento è segnato dai cieli dipinti da Munch, e ancora Monet, Piet Mondrian, Edward Hopper, Emil Nolde.
Un’intera sala è riservata alle ninfee di Monet, in cui il cielo di Normandia si specchia nello stagno di Giverny. Mentre arriva la transizione verso i cieli piatti di De Staël sopra la Senna a Parigi, per assurgere ai cieli interiori di un pittore immenso come Mark Rothko.
“Confini da Gauguin a Hopper è una delle mostre più importanti a livello europeo e con essa il Friuli Venezia Giulia ribadisce la sua apertura internazionale e la volontà di offrire ai cittadini e ai visitatori un’esperienza culturale di altissimo livello – afferma il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga -. Villa Manin, restituita nella sua piena funzionalità, diventa oggi luogo simbolo non solo della nostra storia, ma anche della capacità della regione di guardare al futuro, trasformando i confini in opportunità di dialogo e crescita condivisa”.
Le dichiarazioni del vicepresidente e assessore regionale alla Cultura e allo Sport, Mario Anzil: “La Regione Friuli Venezia Giulia ha fortemente voluto questa mostra capace di sottolineare continuità tematiche fra opere realizzate anche a decenni di distanza e animate da poetiche diverse – dal romanticismo di J.M.W. Turner all’impressionismo lirico di Paul Gauguin, dagli spazi aperti di Claude Monet alle atmosfere di Edward Hopper – e capace altresì di interpretare attraverso di esse il tema del confine in modo del tutto originale.
Il nostro obiettivo, infatti, è quello di promuovere una nuova chiave di lettura del concetto di confine: non più inteso come limite o fine di qualcosa, bensì come luogo di incontro e di scambio, come occasione di conoscenza e di amicizia tra i popoli, nel rispetto delle diverse identità culturali e storiche.
Ma il confine non è solo geografico: la cultura di frontiera canta anche quello, ora netto, ora labile, tra realtà e fantasia, tra ricordo e immaginazione del ricordo, tra passato e futuro, tra altezze e profondità. È in una molteplicità di declinazioni che la mostra intende immergere il visitatore, esplorando come le opere, attraverso differenti linguaggi e differenti sensibilità, disegnino questi spazi di passaggio e di trasformazione. Ogni limite si trasforma in un’opportunità di scoprire nuovi orizzonti interiori ed esteriori.
Un progetto così ambizioso ha potuto realizzarsi grazie alla sapiente regia di ERPAC, di Linea d’ombra e grazie alla collaborazione delle più importanti collezioni museali e private in tutto il mondo. È grazie ai radicali lavori di restauro e adeguamento dell’Esedra intrapresi dalla Regione che le prestigiose opere di livello internazionale sono state concesse in prestito. Oggi la grande ala architettonica di Villa Manin non è più semplice elemento scenografico, ma spazio espositivo in grado di garantire i più alti livelli di sicurezza e di conservazione e capace così anche in futuro di ospitare mostre con i più grandi capolavori”.
Dichiara il curatore della mostra, Marco Goldin: “Quando, nella primavera del 2023, ho per primo proposto al Presidente Fedriga il progetto, così ampio e articolato, di questa mostra, pensavo anche con un certo timore all’ambizione che vi era compresa. E in effetti, avendo poi dialogato in questi oltre due anni di preparazione con decine di direttori e curatori di musei di tutto il mondo, la cosa che mi sono sentita ripetere un po’ da tutti loro è stata proprio questa: l’ambizione del progetto.
Adesso che la mostra si apre e scorro dentro di me i tantissimi quadri che raccoglie, da oltre quaranta musei sia americani sia europei, penso che tutto questo lavoro non sia stato fatto invano. Sono orgoglioso di poter consegnare a una terra come il Friuli Venezia Giulia un simile progetto diventato realtà.
E se posso esprimere un sentimento più personale, nel ringraziare il Presidente della Regione e tutta la giunta, è che colloco Confini da Gauguin a Hopper ai primissimi posti tra le centinaia di esposizioni che ho curato nella mia lunga attività. Perché da essa scaturisce, almeno per me, un’emozione senza fine. Un brivido che ci coglie al cospetto dello spazio dell’universo, quando l’anima vi si fonde.”
INFO UTILI
Orario mostra
da martedì a domenica: ore 9.30 – 18.00
chiuso il lunedì e il 24 dicembre
(vendita dei biglietti sospesa 75 minuti prima della chiusura della mostra)
Servizio prenotazioni e informazioni
(dal lunedì al venerdì: ore 9-13) TEL 0422 429999 biglietto@lineadombra.it www.lineadombra.it
Biglietti
Intero € 15
Ridotto € 11 oltre i 65 anni, titolari di Disability Card, FVG Card, Touring Club, FAI
Ridotto € 8 minorenni dagli 11 ai 17 anni, studenti maggiorenni e universitari fino a 26 anni con tessera di riconoscimento
Gratuito bambini fino a 10 anni, accompagnatore di persona con disabilità, giornalisti, membri ICOM, guide turistiche con tessera iscritte all’Elenco Nazionale del Ministero del Turismo
[tutte le tariffe di biglietti, visite guidate e audioguide disponibili su lineadombra.it]
UFFICIO STAMPA
Studio ESSECI di Sergio Campagnolo
Tel. +39 049 663499
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Introduzione
Testi di Marco Goldin Curatore della mostra
I confini in pittura vengono raccontati attraverso i due secoli – il XIX e il XX – che più di sempre ne hanno costituito l’espressione artistica, fin dal fondamentale tempo romantico in cui quei confini sono stati insieme spazio fisico e della mente. La mostra, curata da Marco Goldin con 130 opere provenienti da 42 musei americani ed europei, non è però stata costruita come una semplice successione cronologica, e invece si sviluppa in successive aree tematiche.
Nel suo punto del principio – le sale iniziali dopo quella introduttiva – essa si sofferma sull’esposizione di sguardi e volti, alla ricerca di quel confine che alberga “nel risvolto interno degli occhi”, per usare le parole di Edvard Munch. Così come nella rappresentazione di figure sui confini dell’immenso. Prima che tutto il piano terra dell’Esedra veda la disposizione dei confini entro gli elementi naturali, con la montagna, poi il mare e infine il cielo.
Sala 1
La prima sala della mostra riassume i vari temi in cui si articola il percorso, con la sola eccezione dei volti dipinti e delle figure poste su un confine, che tutti si trovano nelle varie sale successive a questa.
Anselm Kiefer rappresenta, nella più stretta contemporaneità, il rapporto continuo tra opposizioni, tra cui quelle fondamentali tra luce e buio e tra cielo e terra, dando luogo a quella linea dell’orizzonte che si sporge verso un confine ignoto. Mentre Mark Rothko accenna a un diverso orizzonte, una notte quasi impercettibile che intercetta, sprofondando il confine imprendibile dell’interiorità.
Gustave Courbet e Claude Monet raccontano nei loro quadri la vastità tra mare e cielo, quel confine che, denso di materia o svaporante, è la prova di uno sguardo lanciato verso l’infinito, con una nuova idea del tempo che Monet porterà a perfezione. Mentre Paul Cezanne annuncia qui quell’altrove, in questo caso la Provenza, che è confine lontano dalle città. Un confine che poi Gauguin sposterà molto più in là.
Sala 2
I confini possono essere anche quelli, vastissimi e così articolati, della propria interiorità, per cui importanti sono in questa mostra gli autoritratti. Ma i confini sono anche quelli di un volto che rappresenta l’istinto quotidiano delle brevi misure. Nel primo caso, gli autoritratti da Van Gogh a Gauguin e oltre, nel secondo caso i volti, e gli sguardi, da Courbet a Manet.
I numerosi autoritratti realizzati da Munch tracciano un interno del pensiero che diventa confine, per dire di quella vastità che in lui gareggia con le immense latitudini del Nord. Vincent van Gogh è il pittore che, assieme a Rembrandt, più di ogni altro ha cercato nel proprio volto il confine assoluto ed estremo, nei suoi 35 autoritratti che oggi conosciamo, mentre tanti altri certamente li ha cancellati. Sono stati in gran parte dipinti – come quello in questa sala che giunge in Europa per la seconda volta soltanto – nei due anni trascorsi a Parigi, e soprattutto nel 1887.
D’altro canto, il confine interiore si rovescia anche dentro un’aura quotidiana, ammantata di silenzio, lì dove si incontra la domesticità del volto, anche quando a dipingerlo è uno strenuo realista come Courbet.
Sala 3
Nel pieno Novecento ci sono due artisti che sono spesso stati accostati nei percorsi museali. I loro nomi – Alberto Giacometti e Francis Bacon – sono sinonimo immediato di quella tensione che fa del volto bruciato e tumefatto, quasi arroventato per le forze sotterranee che vi scorrono, il segno più visibile del confine interiore nell’uomo moderno.
Per questo motivo questa sala è a loro dedicata, sala in cui compare anche, quasi come cerniera tra l’Ottocento e il Novecento, il volto di donna dipinto da Amedeo Modigliani nell’ultima fase della sua vita così accidentata. Sono occhi isolati in un loro mondo distante. Ha lasciato scritto il pittore: “Con uno guardi il mondo e con l’altro guardi dentro di te.” Proprio il senso del confine interiore che questa mostra vuole raccontare.
Sala 4
Il diventare parte della natura che si ammira è l’idea che sopra ogni altra ha coinvolto tutti i grandi pittori americani del XIX secolo, ma anche di alcuni, grandissimi, di quello successivo, ed è il motivo da cui muove questa nuova sezione della mostra. Natura che investe, insieme, il corpo e l’anima, intimamente fondendoli. Il viaggio in questa natura eterna e primordiale ha generato la bellezza di una pittura che in Europa non è ancora largamente conosciuta, e per questo si lascia scoprire in una sua dimensione di innocenza, sempre legata alla presenza del divino dentro ciò che è rimasto il giardino dell’Eden
Sono gli anni meravigliosi della Hudson River School, la scuola del realismo americano a metà dell’Ottocento, con i diversi artisti che ne hanno rappresentato i diversi sentimenti e le diverse istanze, tra cui quelli compresi in questa sala.
Sala 5
In questa sala il rapporto tra figure e spazi immensi della natura, nella pittura americana, trova il suo acme con alcuni artisti straordinari del XX secolo. Le figure stesse si fanno quasi cippo di confine, punto in cui il confine medesimo si fissa prima di dilagare nell’immenso.
Winslow Homer è il più straordinario pittore di nature e figure che l’America possieda tra la fine dell’Ottocento e il principio del Novecento, e il quadro in questa sala lo dimostra perfettamente, lì dove lo spazio è ugualmente l’eternità e un pomeriggio in America davanti all’oceano. Questo rapporto tra intimità della figura e infinito dello spazio è lo stesso evocato da Hopper alcuni decenni dopo, per un viaggio nell’interiorità che ha pochi eguali. Sarà poi il presentarsi di due pittori come Richard Diebenkorn e Andrew Wyeth. Il primo, affascinato da Matisse e Bonnard, elegge la finestra a luogo da cui sporgersi, o guardare, il confine dello spazio. Il secondo rappresenta forse meglio di ogni altro in America il cercatore di confini tra il giardino di casa e l’illimite dello spazio, esattamente il senso di questa mostra.
Sala 6
In Europa è Matisse a lavorare sul tema della finestra, colui che sposta all’interno della stanza il confine del mar Mediterraneo a Nizza. Arnold Böcklin si era mosso invece sul terreno di un’arte di tipo idealista, caratteristica tipica delle nazioni di lingua tedesca nell’ultimo quarto dell’Ottocento, per una solenne sospensione che si confronta con la peribilità della vicenda umana. Giovanni Segantini colloca le sue figure sotto alle alte montagne svizzere, nel momento del suo trasferimento nei Grigioni. Un confine insieme quotidiano e immisurabile, nel calore di un abbraccio materno.
Nella seconda parte della sala si trova un’area monografica dedicata a Paul Gauguin. Ciò che vi è compreso, con i quattro quadri famosi, è forse il senso più immediato di cosa significhi la parola confine, volta poi al plurale. Gauguin, il pittore che più di ogni altro ha cercato il suo limite andando sempre più lontano, sempre più legandosi a un’idea di un mondo che non lo rappresentava e dunque cercando ogni giorno uno spazio alternativo, per dar voce a sogni e colori.
Dapprima è stata la Martinica, dove ha trascorso alcuni mesi nella seconda parte del 1887, giungendo da Panama. Poi la Bretagna è diventata la regione di un altrove quasi domestico, eppure lontano dai veleni parigini. Infine, i due soggiorni tahitiani che hanno sancito, tra 1891 e 1893 e poi tra 1895 e 1901, la nascita di quel confine esotico che pur tuttavia alla fine deluderà il pittore.
Sala 7
Gauguin è andato lontano per incontrare il suo confine ma molti altri pittori hanno eletto una terra, e una costa, assai più vicine a Parigi, a loro luogo di fuga, a confine in cui la gioia del colore era piena. In questo senso la Provenza e la costa del Mediterraneo sono state fragranza e profumo, l’idea di una Tahiti nella prossimità di un confine che si poteva toccare.
La costa del Mediterraneo, dunque. E il suo immediato entroterra provenzale. Luoghi nei quali si celebra la gloria del nuovo paesaggio francese. Nell’arco di poche decine di chilometri si trovano a lavorare, nella prima parte del 1888 addirittura in modo contemporaneo, artisti straordinari come Claude Monet, Paul Cezanne e
Vincent van Gogh. Tra Antibes, Aix-en-Provence e Arles. A loro seguirà Pierre Bonnard nella prima parte del Novecento, nella zona di Le Cannet.
C’è poi un fatto fuori dall’ordinario, quando la ricerca dei confini non porta gli artisti verso la dimensione del lontano, ma sono quei confini a farsi prossimità, vicinanza, confidenza d’immagini altrimenti distanti. I grandi pittori francesi scoprono negli artisti giapponesi dell’ukiyo-e, da Utamaro a Hokusai a Hiroshige, una chiarità e una intensità della luce che poi trovano appunto in Provenza e lungo la costa del Mediterraneo. Ma fondamentale fu, attraverso il senso del grafismo sempre di derivazione giapponese, la ricerca dell’essenziale attraverso una forte semplificazione.
Sala 8
Se parliamo di confini naturali, il secolo che più di ogni altro ne ha rappresentato le sembianze è stato il XIX. Proprio per questo motivo, in questa mostra, adesso che è venuto il momento di raccontarli e descriverli, gli artisti dell’Ottocento stanno in primo piano. Assieme ad alcuni altri del XX secolo che ne hanno raccolto il testimone nella maniera più commovente.
L’Ottocento è dunque il secolo della natura. Il tempo in cui l’uomo sempre di più si pone in relazione con lo spazio meraviglioso fatto di cieli e boschi, mari e montagne, sentieri e laghi, campi e giardini, venti e stelle. Il tempo in cui gli artisti, seguendo questo filo che li lega al paesaggio, dipingono in modo costante un nuovo rapporto con il mondo.
La dimensione dell’indefinito romantico Caspar David Friedrich la indica in modo sublime nelle sue visioni di montagne, mentre altri pittori della Hudson River School americana partono dal suo esempio per mescolare romanticismo e realismo, sia sulle montagne dell’Est sia su quelle dell’Ovest. Ma è chiaro come la montagna sacra dell’intera storia dell’arte sia la Sainte-Victoire di Cezanne, da lui dipinta decine di volte fino al 1906, l’anno della sua morte. Superficie piatta che non accenna a una profondità di prospettiva, rifiutando le tradizionali convenzioni.
Sala 9 e Sala 10
In questa sala, e in quella più piccola successiva che qui si anticipa, un senso di meraviglia e di stupore ci prende, dentro la luce calda di tramonti sul mare. Dalla visione romantica di Turner al realismo di Courbet fino ai mari ormai poco impressionisti di Monet negli anni ottanta in Normandia. Per poi andare alle derivazioni novecentesche di Bonnard, Nolde e De Staël. Nella sequenza degli elementi naturali che segnano nello spazio il senso del confine, il mare ha una rilevanza perfino maggiore della montagna, e prima del cielo che tutto in sé pare comprendere.
Il tema del mare ha affascinato Turner nel suo dilavato disperdersi, così come Courbet, il principale esponente della pittura di realtà in Europa attorno alla metà del XIX secolo. Lo si vede nel quadro in questa stanza e nei due in quella successiva, tutti legati al rapporto tra la storia dell’uomo e l’eterno.
Se Monet con i mari dipinti in Normandia rompe definitivamente la religione del puro plein air, Bonnard, Nolde e soprattutto De Staël partono dal dato della visione ottica per lasciare che quella stessa visione sprofondi, modificandosi, nei territori dell’interiorità. Il colore, dal giallo di Bonnard all’arancione di De Staël, diventa un vero e proprio fatto dello spirito.
Sala 11
In questa sala, con due quadri di Turner e uno di Church, si chiude la sezione dedicata al confine del mare e si apre quella conclusiva, molto ampia, dedicata ai confini del cielo, spazio che tutto abbraccia come in una cosmogonia. Molti quadri di Turner mostrano una precisa presa di coscienza circa la possibilità di raccontare anche la Storia attraverso la supremazia delle luci. Egli non dipinge quadri di naufragi e tempeste come fanno molti pittori del Settecento, ma instaura un vero e proprio corpo a corpo con gli elementi. Da lui trarrà anche Church il senso luminoso di un naufragio già avvenuto.
La seconda parte della sala apre lo straordinario capitolo finale della mostra, quello dedicato al cielo come segno del più vasto confine. E lo fa ripartendo dal tempo romantico, con le opere di Friedrich e Constable. Il cielo in Friedrich diventa il tutto, è l’espressione del sacro, il luogo nel quale abita il divino, spesso con il segno della luna a dominare. Nei suoi cieli dipinti si attua l’incontro tra la luce, il colore, la materia e lo spirito.
John Constable inventò un altro romanticismo, lontano anche dal suo connazionale Turner. Quello della breve misura quotidiana, quando il cielo nasce dalla variabilità delle luci, come nella serie dipinta tra il 1821 e il 1822, come si vede nella sala successiva. Opere che sono insieme una nota profondamente poetica e la descrizione di precise condizioni atmosferiche.
Sala 12
Era sulle spiagge attorno a Honfleur, la sua città natale, che Eugène Boudin aveva cominciato a camminare, da solo, alzandosi anche prestissimo al mattino per cogliere il movimento delle nuvole e trasferirlo sulle sue piccole carte. Il cielo come confine così diverso dall’eroismo romantico e invece il cielo come confine quotidiano, che poi gli impressionisti porteranno a perfezione.
Proprio a Honfleur, Baudelaire scoprì il lavoro di Boudin: “Ho visto recentemente nello studio di Boudin alcune centinaia di studi a pastello realizzati davanti al mare e al cielo”. Corot l’aveva definito il “re dei cieli” e Alexandre Dumas figlio, rivolgendosi al pittore, gli aveva detto: “Voi siete l’uomo dei cieli per eccellenza.”
Boudin mette in atto quella piccola rivoluzione domestica che, come era accaduto a Turner e soprattutto a Constable, gli fa considerare per il suo lavoro solo lo spazio del cielo. Che a quel punto diventa il centro di un
vedere che associa le brevi misure del luogo della propria nascita con quelle, vaste, del cielo cosparso di nuvole. Come una pioggia di nembi dei colori diversi tra l’alba e il tramonto.
Sala 13
Fu nelle campagne appena fuori Parigi, a ovest della città, che si formò il nuovo gusto per il paesaggio impressionista. Erano campagne lungo il corso della Senna, da Louveciennes a Bougival, prima che Argenteuil, dal 1872, diventasse con Monet il vero centro di quel tipo di pittura.
Si trattava di luoghi pieni di un brio, una luce, che sembravano perfetti per i giovani pittori moderni, che non cercavano più la solitudine eroica delle foreste, e volevano invece il contatto con il brusio di una natura diversa, appunto quotidiana. Villaggi che conservavano una forte caratteristica rurale, avevano sopra essi vasti cieli liberi che erano la conseguenza di quelli di Boudin, con accanto le acque del grande fiume che scorreva. Era il dipingere il senso di una giornata in campagna, o lungo il corso della Senna e dei suoi affluenti.
Alla fine dell’estate del 1878 Monet lascia Argenteuil e in un momento di stringenti difficoltà economiche decide di trasferirsi e sale verso nord, sempre lungo il corso del fiume, a Vétheuil. Il quadro in questa sala è un perfetto saggio impressionista su cosa sia dipingere un cielo tutto sparso di nuvole in movimento e che si specchiano sull’acqua, riflettendo. Un confine quotidiano.
Sala 14
Dal suo punto di sosta, variato nello spazio e nell’anima, nell’interesse per le soglie dipinte da Matisse, Mark Rothko lascia che il transito verso il confine interiore sia nella sua pittura un fatto privo di immagini sensibili. La derivazione francese della sua ricerca, quella lastra di forte sensualità di superficie che gli sorge dall’aver guardato, e amato, la pelle di tanti tra i pittori compresi con lui in questa mostra – dal tardo Monet affaccendato a Giverny che troverete nella prossima sala, al morbido e articolato fiorire del colore di Bonnard, fino appunto a Matisse – talvolta contrasta con l’elemento di sacralità e ascetismo che gli è intimamente connaturato. Quel sacro che conduce quasi, come in Hopper e come in Wyeth per restare in America, alla verità soprannaturale, all’eternità.
Evocare è una parola che si presta bene a spiegare i quadri che Rothko viene realizzando a partire dagli iniziali anni cinquanta, prima che nel decennio successivo, e ultimo per il suo operare, egli virasse, pur con le dovute eccezioni come nel dipinto in questa sala, verso un occultamento della luce e del colore. A costruire una notte, come nella sua tela che avete incontrato nella prima sala. Quasi il viaggio dentro i confini della psiche stesse raggiungendo il suo punto più profondo, quasi di non ritorno.
Sala 15
Negli anni ottanta e novanta dell’Ottocento, a partire dalla campagna di pittura in Normandia del 1882, i cieli di Monet sempre di più cambiano, non più sottoposti al potere assoluto del plein air. Soprattutto il secondo tra questi due decenni segna un punto straordinariamente nuovo nella su arte, con l’inizio delle cosiddette “serie”, tra le quali quella legata alle ninfee è la principale e la più nota. Le vedute di Londra, in seguito ai soggiorni tra 1899 e 1901, sono un intermezzo negli anni in cui si fanno numerosi lavori di adeguamento nel giardino attorno alla casa a Giverny.
Perché le ninfee di Monet entrano in questa esposizione che ha per tema il confine? Perché, nello stesso modo, vi entra un giardino? Finora sono apparsi i grandi confini naturali, le categorie romantiche dello spazio, montagne, mari e cieli. Eppure ora un giardino si offre nei suoi brevi confini, e sembrerebbe negare quegli spazi che si tendono infiniti. Spazi che anche Monet ha coltivato molte volte fino al momento di chiudersi a Giverny e fare di quel giardino un mondo, farne la somma di tutti i viaggi, di tutti i confini che aveva attraversato e dai quali era ritornato.
Il giardino appare come la conclusione del viaggio, il luogo in cui si raccolgono tutte le esperienze e si rivede la vita nella sua distensione immensa, carica di ricordi e presagi. Il giardino non è più dunque solo uno spazio fisico, non è mappa né topografia, ma molto di più è la somma incantata di passato, presente e futuro.
Sala 16
L’ultima sala della mostra esplora, attraverso l’opera di cinque straordinari artisti che lavorano quasi per intero nel Novecento, la diversa intonazione dei cieli dipinti in luoghi anche molto lontani tra loro, con esiti sempre di profonda e intima commozione davanti allo spazio immenso che trattiene dentro di sé i confini. Cinque pittori che rappresentano il senso più profondo di questo viaggio che volge alla sua conclusione.
L’atmosfera appena nebbiosa delle notti d’estate norvegesi, con il bianco velo della luna, pare essere tra le preferite in assoluto da Munch. Notte che tutta si specchia, con il suo cielo trapunto di stelle, nel fiordo di Oslo. Oppure le paludi e i canali di Mondrian, su cui si depositano gli striati cieli olandesi che ricordano il primo Van Gogh.
O il cielo sopra Parigi di Nicolas de Staël, il confine entro cui adagiarsi, preso dalla parte dell’anima, potendo così egli mescolare il dato del figurare con quello dell’astrarre. O i cieli di Emil Nolde, colmi di nuvole mosse dal vento sopra le ampie pianure dei Frisoni settentrionali, prima che quei papaveri rossi inscritti diano il senso di una resistenza poetica durante il drammatico conflitto mondiale.
E infine giungono, davvero alla fine del viaggio, altri due quadri di Edward Hopper. Un pittore che fa dei suoi cieli in America un confine tutto dilatato verso l’immenso. Egli ha lasciato nel mondo del paesaggio sospeso, vuoto di presenze, un segno non facilmente dimenticabile. In lui, tutta la somma dei confini di questa mostra.
I confini del presente
La mostra Confini da Gauguin a Hopper ha una sua parte finale che riguarda, in questi spazi, alcuni artisti italiani che fin dalla metà del Novecento hanno lavorato su temi affini a quelli dei pittori che compongono la grande rassegna internazionale. Ne ho scelti alcuni, avrebbero potuti essere certamente di più. Alcuni che si fossero confrontati, nel corso delle loro vite – concluse o no – con gli stessi temi che i pittori, da Turner a Rothko, da Van Gogh a Hopper, hanno affidato alle loro tele quando si era trattato di dipingere i confini. Dunque per questo le loro opere sono collocate in un punto che è ugualmente la fine e il principio del viaggio, e tu non sai se l’incontro avvenga nel momento in cui ci si stacca da terra o invece quando si faccia ritorno al porto. Perché la cosa importante è incontrarli, questi pittori, sentire la pienezza del loro essere davanti al colore che rappresenta il mondo, qualunque sia il modo della rappresentazione.
Partendo dall’omaggio a Giuseppe Zigaina, grande friulano, a dieci anni dalla morte, con i suoi strabilianti cieli abitati. Poi gli autoritratti di Gianfranco Ferroni vicini a Giacometti soprattutto e a Bacon, così come accade per le figure dipinte da Alessandro Papetti. Quindi quella eco matissiana nelle finestre solitarie di Alberto Gianquinto e Franco Polizzi, accanto alle soglie abitate di Matteo Massagrande.
Ma anche il profumato riferimento ai gialli di Bonnard in Vincenzo Nucci, così come la fascinosa poesia quasi giapponese in Andrea Gotti. Quindi la spiaggia di Piero Guccione, inaspettatamente vicina a quella di Turner, oppure i quadri arancioni di Claudio Verna nella prossimità con lo stesso colore in De Staël. O ancora, la flagrante sovrapposizione dei fiori schiacciati e luminosi di Franco Sarnari con le ninfee e gli iris di Monet, mentre all’interno di un giardino malinconico avanza l’opera muschiosa di Piero Vignozzi.
E poi ancora cieli, come quelli grondanti nuvole di Franco Dugo, accanto a Constable e Courbet, o quelli ammantati di stelle di Giuseppe Puglisi, quelle stelle che Munch ha dipinto alle latitudini del Nord. O infine, quelli abitati da placche di nuvole arancioni di Piero Zuccaro, al pari di quelli olandesi di Mondrian, prima che tutto venga sigillato dallo svaporio atmosferico delle immagini create da Claudio Olivieri, che come Rothko unisce prossimità e lontananza.
L’Esedra di Levante di Villa Manin
uno spazio espositivo di livello internazionale
Un centro espositivo all’avanguardia, dotato della migliore tecnologia e in linea con i più elevati standard di sicurezza, è appena stata inaugurata l’Esedra di Levante di Villa Manin. Dall’11 ottobre al 12 aprile 2026 ospita le opere d’arte più preziose al mondo, per la mostra Confini da Gauguin a Hopper, una tra le più grandi mostre mai realizzate in Friuli Venezia Giulia.
L’Esedra di Levante, il nuovo spazio espositivo del compendio monumentale di Villa Manin di Passariano di Codroipo, è stata presentata lo scorso 11 settembre alla stampa e alle autorità regionali dal vicepresidente e assessore regionale alla Cultura e allo Sport, Mario Anzil, e dall’assessore regionale al patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi, Sebastiano Callari.
Rimasta inutilizzata per molti anni, ora l’Esedra di Levante è stata riprogettata e recuperata, rendendola uno spazio attivo, vivo e dinamico, un centro culturale pronto ad accogliere manifestazioni artistiche di livello internazionale e turisti provenienti da tutto il mondo.
Come ha spiegato il Vicepresidente e Assessore regionale alla cultura e allo sport, in occasione della presentazione, Mario Anzil: «Questi spazi dalle potenzialità straordinarie vengono inaugurati a esattamente un mese dall’apertura di una delle più grandi mostre che il Friuli Venezia Giulia ospiterà, Confini da Gauguin e Hopper, con opere di livello internazionale, provenienti da ben 43 musei di tutto il mondo. Dopo il fallimento del primo tentativo di restauro, avvenuto negli anni Novanta, questa è anche una rivincita della Pubblica amministrazione, perché oggi restituiamo alla comunità uno spazio che necessitava di una vera rinascita e che è stato ripensato per diventare un baluardo della programmazione culturale regionale. Grazie a questo recupero l’Esedra di Levante sarà ora un luogo a misura di grandi progetti internazionali: spazi, impianti e standard museali idonei ad accogliere capolavori in arrivo da istituzioni prestigiose e ad aprire il nostro territorio a un dialogo sempre più europeo. Un investimento duraturo per i nostri artisti, le scuole, le imprese culturali e per un pubblico che chiede qualità».
Il vicegovernatore ha osservato anche che «Questo restauro ha riportato alla luce la storia della Villa Manin e gli echi delle vite di chi vi è passato, tra cui anche alcuni messaggi dei servizi segreti della Repubblica di Venezia. Oggi abbiamo scritto un nuovo capitolo di quella storia che sono certo si arricchirà con molte interessanti pagine”.
Particolarmente soddisfatto l’assessore regionale al Patrimonio, Sebastiano Callari, i cui uffici hanno curato l’intervento. «Oggi consegniamo alla comunità un’opera che sarà in grado di ospitare grandi eventi e che valorizza ulteriormente una meraviglia come Villa Manin, troppo a lungo dimenticata. Sono molto orgoglioso
di questo intervento perché, anche se i vincoli architettonici lo hanno reso più complesso e impegnativo, è stato completato in tempi record: dall’avvio dei lavori, a marzo 2024, alla loro conclusione, è passato soltanto un anno e mezzo. Tutto ciò che era stato previsto inizialmente, comprese le risorse stanziate, è stato completamente rivisto per allestire spazi in linea con le più rigorose richieste in materia di climatizzazione degli ambienti e di sicurezza, attraverso sistemi all’avanguardia degni dei più importanti musei mondiali. Un’operazione del valore finale di oltre 7,4 milioni di euro, interamente gestita dalla Direzione Patrimonio, che mette ora a disposizione del panorama culturale e di conseguenza dei cittadini del Friuli Venezia Giulia uno spazio unico nel suo genere».
Callari ha quindi rimarcato che «L’opera di ristrutturazione è stata realizzata da aziende del territorio, le quali hanno dimostrato non solo straordinarie capacità tecniche e maestranze di altissimo livello, ma anche una passione e una dedizione encomiabili. A loro, come a tutti coloro che sono stati coinvolti dal progetto, va un ringraziamento sincero, perché sono la dimostrazione concreta che il sistema Friuli Venezia Giulia quando si mette in moto funziona alla grande».
