Magnum sul set 🗓

“MAGNUM SUL SET”: UNA MOSTRA A PORDENONE ESPLORA LA BELLEZZA DELL’INCONTRO TRA FOTOGRAFIA E CINEMA.

“Lo sguardo dei grandi fotografi sui divi di Hollywood” 

nella galleria Harry Bertoia dal 15 settembre all’8 dicembre. Un’occasione unica per gli appassionati di cultura visiva e cinematografica e per il grande pubblico della settima musa. “Fotografi iconici e film leggendari firmati dai grandi maestri”, sottolinea il vicesindaco e assessore alla Cultura di Pordenone, Alberto Parigi. 

Con 116 fotografie, 18 grandi fotografi e 12 set dei più celebri film hollywoodiani, la mostra “Lo sguardo dei grandi fotografi sui divi di Hollywood” si appresta a diventare l’evento espositivo di richiamo di fine estate a Pordenone, offrendo un’ampia retrospettiva sull’incontro “magico” tra i maestri della fotografia e quelli del cinema. 

L’inaugurazione ufficiale, prevista per sabato 14 settembre alle ore 17, è stata preceduta oggi da un’anteprima stampa alle ore 11 presso la sede espositiva, la Galleria civica Harry Bertoia, al n. 60 di Corso Vittorio Emanuele II, dove la mostra sarà visitabile al pubblico dal 15 settembre all’8 dicembre, insieme al Vicesindaco Assessore alla Cultura di Pordenone, Alberto Parigi, la co-curatrice Suleima Autore, Riccardo Costantini, per Cinemazero e da remoto la curatrice Alessandra Mauro.

Proposta dal Comune di Pordenone, con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia e in collaborazione con Contrasto, Pordenonelegge, Cinemazero, Craf, Magnum e Versicherungskammer Kulturstiftung celebra l’intenso legame tra il mondo della fotografia e quello del cinema, mostrando il “dietro le quinte” di alcune leggendarie pellicole hollywoodiane, da “Improvvisamente l’estate scorsa” (1959) a “Zabriskie Point” (1970) e “Morte di un commesso viaggiatore” (1975), solo per citarne alcune. 

“Un’occasione imperdibile per tutti gli appassionati di cultura visiva e cinematografica, perché offre un viaggio affascinante e uno sguardo inedito sui protagonisti e le atmosfere del cinema”, sottolinea il vicesindaco e assessore alla Cultura di Pordenone Alberto Parigi. “È un onore – aggiunge – poter ospitare nella nostra città un evento culturale di tale rilievo, che rende omaggio alla storia del cinema attraverso l’occhio dei grandi fotografi della Magnum”. 

Grazie alla collaborazione con Cinemazero di Pordenone, l’esposizione presenta anche una selezione di poster e locandine promozionali dei film hollywoodiani proveniente dalle prestigiose collezioni “La Cineteca del Friuli”, “La Cineteca del Friuli – Fondo Gianni Da Campo”, e “Collezione Isidoro Brizzi”, arricchendo ulteriormente l’esperienza immersiva.

Dalla storica collaborazione tra l’agenzia Magnum Photos e il mondo del cinema, l’esposizione presenta ritratti e scene che catturano momenti irripetibili: Charlie Chaplin mentre dirige “Luci della ribalta” (fotografato da Eugene Smith), Billy Wilder e Marilyn Monroe in “Quando la moglie è in vacanza” (scatti di Elliott Erwitt), e James Dean in “Gioventù bruciata” (fotografato da Dennis Stock). Le grandi dive come Elizabeth Taylor e Katharine Hepburn in “Improvvisamente, l’estate scorsa” (fotografate da Burt Glinn) e l’intero cast di “The Misfits – Gli Spostati”, immortalato da diversi autori Magnum, rappresentano solo alcune delle straordinarie immagini in mostra. Tanti i grandi fotografi della Magnum Photos presenti in mostra, da Henri Cartier Bresson a Eugene Smith, Inge MorathDennis StockElliot ErwittDavid HurnPeter MarlowGuerogui Pinkhassov.

Curata da Alessandra Mauro di Contrasto, questa nuova edizione della mostra mette in risalto il profondo legame tra Magnum e il cinema attraverso 12 reportage dettagliati che esplorano i retroscena di altrettante pellicole iconiche. Ogni sezione sarà accompagnata da pannelli informativi che racconteranno la storia del film, il suo impatto culturale e curiosità inedite, offrendo ai visitatori una narrazione completa e coinvolgente. 

“Non si tratta di una mera esposizione fotografica – spiega la curatrice –, ma di un vero e proprio viaggio nelle emozioni e nelle sorprese che un set cinematografico può riservare agli occhi di un fotografo. Come sottolineava Elliott Erwitt, ‘quel che la vita ha di meraviglioso sono le sorprese. Non vedo perché dimenticarsene quando si fa un film”.

Inoltre, dal 18 settembre al 17 novembre, al 2° piano di Galleria Bertoia, sarà allestita la mostra fotografica “Il tempo di una fotografia”, in cui saranno esposte le opere dei giovani dai 15 ai 30 anni che hanno partecipato al concorso indetto dal Comune, assieme alle associazioni SOMSI e Panorama. Questa “mostra nella mostra”, che proporrà le opere selezionate da una giuria tecnica, sarà ad ingresso gratuito e visitabile secondo gli orari di “Magnum sul set”. Tutti i visitatori potranno esprimere una preferenza e votare la fotografia preferita. Gli autori delle 3 foto più votate saranno premiati in una cerimonia ufficiale a dicembre.

Parallelamente, saranno organizzati diversi eventi collaterali. Durante l’esposizione internazionale SICAM, il m° Francesco Tizianel si esibirà in alcuni concerti dedicati alle colonne sonore dei film rappresentati nelle foto dei grandi maestri. Prevista anche la proiezione di alcune pellicole relative alle foto esposte, in collaborazione con Cinemazero. Inoltre saranno organizzate visite guidate didattiche per i ragazzi delle scuole.

In occasione dell’apertura di “Magnum sul set”, sarà attivato il biglietto unico che consentirà ai visitatori l’ingresso ad un prezzo speciale per ammirare le opere esposte in Galleria Bertoia, al Museo civico Palazzo Ricchieri e al Paff!.

L’esposizione sarà aperta al pubblico nei seguenti orari: venerdì – sabato e domenica dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19 (www.comunepordenone.it)

Informazioni sulla mostra

MAGNUM SUL SET. LO SGUARDO DEI GRANDI FOTOGRAFI SUI DIVI DI HOLLYWOOD                                                                        

dal 15 settembre all’8 dicembre  2024 

Galleria civica Harry Bertoia,                                                                                                                                                                                  

Corso Vittorio Emanuele II, n.60 – Pordenone

Biglietti

Intero  € 5,00

Ridotto € 3,00

 

I FOTOGRAFI

EVE ARNOLD / 1912-2012
Nata a Philadelphia, Pennsylvania, USA, da genitori immigrati russi, comincia a fotografare nel 1946, mentre lavora in un laboratorio fotografico di New York City. Studia poi fotografia con AlexeY Brodovitch nel 1948 alla New School for Social Research di New York. Entra a Magnum 1951 e diventa un membro effettivo nel 1957. Nel 1962 si trasferisce in Gran Bretagna.                    

Nel 1995 entra a far parte della Royal Photographic Society ed è eletta “Master Photographer” dall’ICP di New York. Eve Arnold muore nel gennaio 2012. 

CORNELL CAPA / 1918-2008
Cornell Capa, all’anagrafe Cornell Friedmann, nasce a Budapest da una famiglia ebrea.               

Nel 1936 si trasferisce a Parigi per raggiungere il fratello Andre (cioè, Robert Capa) e aiutarlo a stampare le fotografie. Nel 1937 si trasferisce a New York con la madre, Julia. Nel 1946, Cornell diventa fotografo di staff per Life: viaggia a lungo e copre eventi politici e sociali. Dopo la morte del fratello, nel 1954, entra a far parte di Magnum e quando Chim (David Seymour) muore a Suez nel 1956, ne diventa presidente fino al 1960. Dopo aver curato importanti mostre e libri, nel 1974 Capa fonda a New York l’International Center of Photography. 

HENRI CARTIER-BRESSON / 1908-2004                                                                                                                  

Nato  a Chanteloup, Francia, Henri Cartier- Bresson è subito attratto dal disegno, dalla pittura al Surrealismo. Nel 1932, dopo aver trascorso un anno in Costa d’Avorio, scopre la Leica e comincia a fotografare. Nel 1933 espone alla Julien Levy Gallery di New York. Diventa poi assistente del regista Jean Renoir. Prigioniero di guerra nel 1940, riesce a fuggire al terzo tentativo, nel 1943. Nel 1947, con Robert Capa, George Rodger, David ‘Chim’ Seymour fonda Magnum Photos. Viaggia a lungo in Oriente e nel 1952, tornato in Europa, pubblica Images à la Sauvette (in inglese: The Decisive Moment). Dal 1968 comincia a diradare le sue attività fotografiche e torna a concentrarsi sul disegno e la pittura. Nel 2003, con la moglie e la figlia, crea a Parigi la Fondation Henri Cartier-Bresson per la valorizzazione del suo lavoro. Muore nella sua casa in Provenza, il 3 agosto 2004. 

BRUCE DAVIDSON / 1933
Bruce Davidson nasce a Oak Park, Illinois, USA, nel 1933. Studia al Rochester Institute of Technology e all’Università di Yale. Nel 1957 comincia a lavorare come fotografo per Life e nel 1958 entra a far parte dell’Agenzia Magnum. Per il suo lungo lavoro ha ottenuto molti, importanti premi e ha esposto in importanti musei come il MoMA di New York, lo Smithsonian di Washington, l’ICP di New York, il Museum of Photographic Arts di San Diego e la Fondation Cartier-Bresson di Parigi. È inoltre autore di due mediometraggi. Davidson continua a tenere conferenze, condurre workshop e realizzare straordinarie immagini. 

ELLIOTT ERWITT / 1928-2023
Nato a Parigi nel 1928 da genitori russi, Erwitt trascorre la sua infanzia a Milano per poi emigrare negli USA via Francia insieme alla famiglia nel 1939. Da adolescente vive a Hollywood e comincia a interessarsi di fotografia. Nel 1948 si sposta a New York e baratta le
ore di pulizia con le lezioni alla New School for Social Research. Conosce Edward Steichen, Robert Capa lo “arruola” nella Magnum e Roy Stryker gli procura un importante lavoro per documentare la città di Pittsburgh. Innumerevoli sono le pubblicazioni, i libri che raccolgono le sue straordinarie foto e le mostre organizzate nei principali musei del mondo. Muore a New York City nel 2023. 

JEAN GAUMY / 1948
Nato a Pontaillac, in Francia, nel 1948, Gaumy termina i suoi studi a Rouen dove lavora come giornalista e fotografo freelance per il quotidiano locale. Collaborerà poi con le agenzie Viva e Gamma. Nel 1975 realizza due lunghi lavori di documentazione sulla vita in un ospedale e sulle prigioni francesi. Nel 1977 entra a far parte di Magnum. Dal 1986 e fino al 1997 realizza diversi viaggi in Iran, fotografando il conflitto con l’Iraq. Ai suoi diversi lavori sociali, ha accoppiato ultimamente una serie di progetti più personali e contemplativi. 

BURT GLINN / 1925-2008
Nato a Pittsburgh, Pennsylvania, USA, Burt Glinn studia letteratura all’università di Harvard. Dal 1949 al 1950, lavora per Life prima di diventare fotografo. Realizza spettacolari serie a colori sui mari del sud, Giappone, Russia, Messico e California. Nella sua lunga carriera, ha documentato la Guerra del Sinai, il Libano e la presa del potere a Cuba da parte di Fidel Castro. Versatile e brillante, Glinn è stato tra i più rappresentativi fotografi di Magnum, sia per i progetti di documentazione che per quelli di corporate e commerciali. Glinn è morto a Southampton, NY, nel 2008. 

ERNST HAAS / 1921-1986
Considerato tra i pionieri della fotografia a colori, Ernst Haas nasce a Vienna nel 1921 e dopo la guerra si avvicina alla fotografia. Uno dei suoi primi lavori, sui reduci di ritorno in Austria, attira l’attenzione della rivista Life. Invitato da Robert Capa, entra a far parte di Magnum nel 1949. Nel 1951 si trasferisce negli USA e poco dopo, comincia a sperimentare con la pellicola Kodachrome. Nel 1962 una retrospettiva delle sue foto a colori è presentata al MoMA di New York. Durante tutta la sua carriera ha continuato a realizzare importanti libri e mostre nei principali musei del mondo. 

ERICH HARTMANN / 1922-1999
Nato a Monaco di Baviera, all’età di 16 anni con la famiglia lascia la Germania nazista per trasferirsi ad Albany, New York. Durante la guerra, Erich combatte nell’esercito americano in Europa e, terminato il conflitto, a New York comincia a lavorare come fotografo.
Entra a far parte di Magnum nel 1952: per molti anni è nel board della direzione e ne diventa poi presidente nel 1985. Realizza molti lavori fotografici sulla scienza, l’industria, l’architettura e la tecnologia, così come progetti a lungo termine sull’Inghilterra di Shakespeare, la Dublino di Joyce, il Wessex di Thomas Hardy. Negli ultimi anni, realizza una straordinaria ricognizione fotografica sui resti dei campi di concentramento e sterminio nazisti. Erich Hartmann muore a New York City nel 1999. 

DAVID HURN / 1934
Nato in una famiglia del Galles, David Hurn è un fotografo autodidatta che comincia la sua carriera nel 1955. Come fotografo freelance si fa conoscere per le sue immagini sulla rivoluzione di Ungheria del 1956. Col tempo, preferisce dare spazio a progetti più personali. Entra a far parte di Magnum nel 1965 e nel 1973 fonda la celebre School of Documentary Photography di Newport, nel Galles. Realizza una serie di manuali sul mestiere di fotografo ma il suo lavoro più noto è il libro dedicato alla sua terra, Wales: Land of My Father

ERICH LESSING / 1923-2018
Figlio di un dentista e di una pianista classica, Erich Lessing nasce a Vienna nel 1923. Nel 1939, l’occupazione dell’Austria da parte di Hitler lo costringe a emigrare in Israele (all’epoca, Mandato Britannico della Palestina). La madre, restata a Vienna, morirà ad Auschwitz. Tra diversi lavori per mantenersi, Erich coltiva anche l’hobby studentesco della fotografia e, tornato in Austria nel 1947, lavora per l’Associated Press ed entra poi a Magnum nel 1951. Documenta soprattutto eventi politici e sociali, come la rivolta d’Ungheria. Dopo il 1960 concentra la sua attenzione su personalità ed eventi storici che riporta alla luce in una serie di “evocazioni” personali e originali. Nel 1996 viene fondato a Vienna il Lessing Photo Archive che raccoglie il suo immenso archivio visivo. 

PETER MARLOW / 1952-2016
Tra i più e brillanti fotografi inglesi della sua generazione, Peter Marlow nel 1976 lavora per l’agenzia francese Sygma ma capisce presto che la competizione tra fotogiornalisti non fa per lui. Col tempo, cambia quindi lo stile anche se l’approccio dei suoi lavori rimane simile e realizza, di fatto, una sorta di circolo completo: cominciando la carriera come fotogiornalista internazionale per poi tornare in Gran Bretagna ed esaminare da vicino la sua esperienza scoprendo una nuova poetica visiva utile per comprendere meglio il suo stesso paese. Trovata questa cifra stilistica, ha compiuto una serie di lavori in tutto il mondo, dal Giappone all’Europa, agli USA. 

INGE MORATH / 1923-2002
Nata a Graz, in Austria, nel 1923, Inge Morath studia lingue a Berlino e diventa traduttrice, giornalista e photo editor per la rivista Heute. Arriva a Magnum come redattrice nel 1949 e comincia a fotografare solo nel 1951 diventando poi fotografa di Magnum nel 1953. Morath lavora a lungo in Europa, Africa e Medio Oriente. Dopo
il suo matrimonio con il commediografo Arthur Miller, nel 1962, si stabilisce tra New York e il Connecticut. La coppia collabora su diversi libri. Molte delle principali fotografie di Inge Morath sono ritratti, soprattutto di artisti come Alexander Calder, Louise Bourgeois, Philip Roth o Victoria Sackville-West. Muore a New York City nel 2002. 

GUEORGUI PINKHASSOV / 1952
Pinkhassov comincia a interessarsi di fotografia ancora al liceo. Dopo gli studi in cinematografia, lavora presso gli studi della Mosfilm e diventa poi fotografo di set. Nel 1978 ottiene lo statuto di artista indipendente. Il suo lavoro attrae il grande regista russo Andrei Tarkovsky che lo invita a realizzare un reportage sul set di Stalker (1979). Pinkhassov si trasferisce a Parigi nel 1985 e nel 1988 raggiunge Magnum Photos. Il suo lavoro Sightwalk esplora dettagli, riflessi, luci particolari e dimostra il suo personale, poetico approccio astratto. 

DAVID (CHIM) SEYMOUR / 1911-1956
Nato a Varsavia nel 1911, David Szymin studia all’Accademia di Grafica di Lipsia e poi alla Sorbona di Parigi per diventare editore. A Parigi si avvicina alla fotografia; inizia a lavorare come freelance e conosce Capa e Cartier-Bresson. Dal 1934 le sue foto cominciano ad apparire
su riviste come Paris soir e Regards. Dal 1936 al 1938 documenta la vita nella Spagna della Guerra civile. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, con l’avanzare dei nazisti in Europa, fugge dalla Francia e si trasferisce a New York, dove cambia il cognome in Seymour. Nel 1942 si arruola nel corpo dell’intelligence americana come interprete. Nel 1947 è tra i fondatori dell’agenzia Magnum. Firma in seguito reportage e lavori molti servizi in tutto il mondo, con una speciale predilezione per l’Italia. Realizza anche un importante reportage sul nuovo stato d’Israele. Muore nel 1956, durante la crisi di Suez, colpito da una scarica di proiettili egiziani. 

W. EUGENE SMITH / 1918-1978
William Eugene Smith nasce nel 1918 a Wichita, Kansas, USA. Inizia a fotografare all’età di 15 anni per i giornali locali ed entra alla Notre Dame University dove viene creata una speciale borsa di studio fotografica per lui. Comincia a lavorare nel 1937 per le riviste e poi per l’agenzia Black Star. Durante la guerra è corrispondente per Flying magazine (1943-44) e poi per Life. Segue l’offensiva americana contro il Giappone nel Pacifico e riporta una serie di ferite che lo costringono a una lunga convalescenza. Lavora poi di nuovo per Life tra il 1947 e il 1955, anno in cui entra a far parte di Magnum. Particolarmente coinvolto dal suo lavoro, Smith ha realizzato splendidi reportage che però gli hanno spesso alienato simpatie e attenzioni da parte delle redazioni delle riviste. Dopo il trasferimento a Tucson, per insegnare all’Università dell’Arizona, muore di ictus. 

DENNIS STOCK / 1928-2010
Nato a New York City nel 1928, Dennis Stock nel 1947 diventa assistente del fotografo Gjon Mili. Entra poi a far parte di Magnum nel 1951. Lavora a lungo a Hollywood, realizzando grandi reportage sulle stelle del cinema, come James Dean e più tardi sui grandi musicisti jazz. Nel 1968 crea “Visual Objectives”, una compagnia di produzione cinematografica con cui realizza diversi documentari. In quegli anni, fotografa anche le comunità hippy della California. Tra gli anni ‘70 e ‘90 realizza una serie di volumi a colori sulla bellezza e varietà della natura e dell’architettura moderna. 

NICOLAS TIKHOMIROFF / 1927-2016
Nato a Parigi da genitori russi immigrati, Nicolas Tikhomiroff raggiunge l’esercito francese a 17 anni e segue la liberazione di Parigi. In seguito, passa diversi mesi in Germania e poi in Indocina. Trova poi lavoro nella camera oscura di un fotografo di moda e, cominciando a utilizzare una Rolleiflex, inizia a collaborare con una serie di riviste importanti. Con il giornalista Michel Chevalier realizza una serie di progetti a quattro mani in Unione Sovietica, Africa e in Medio Oriente. Nel 1959 entra a far parte di Magnum e realizza una serie di progetti giornalistici nel mondo. Inoltre, si interessa di cinema e lavora con Orson Welles, Fellini, Visconti e altri. 

I FILM 

Zabriskie Point 

Zabriskie Point, 1970.                                                                                                    

Fotografie di Bruce Davidson                                                                                                  

Una grande, liberatoria esplosione: forse la scena più celebre di Zabriskie Point, secondo lungometraggio americano di Michelangelo Antonioni, è proprio la scena finale, quando Daria, appresa la morte di Mark ucciso dalla polizia, fa saltare in aria, letteralmente, i simboli della società oppressiva che ora sono scagliati nel cielo. 

Per lungo tempo Zabriskie Point ha costituito un riferimento cinematografico irrinunciabile; per la storia d’amore improvvisa e profonda tra Daria e Mark (due attori agli esordi: Mark Frechette e Daria Halprin), per gli scenari da favola, quasi irreali, in cui i due si amano, nel deserto californiano di Zabriskie Point; per la musica dei Greatful Dead e dei Pink Floyd; per l’anelito di libertà, il desiderio
di viaggiare, la necessità di trovare nuovi modi di vita di una generazione – quella dei figli della rivoluzione degli studenti californiani degli anni Sessanta. E soprattutto, per il colore straordinario che Antonioni è riuscito a creare con la sua pellicola e per la sua capacità di intercettare, come sempre in anticipo, le ansie, i timori, i fermenti che la società occidentale stava per scoprire. 

The Trial 

Il processo, 1962.
Fotografie di Nikos Tikhomiroff 

“Qualcuno doveva aver denunciato Joseph K. perché senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato”.
Così si apre Il processo di Franz Kafka, capolavoro della letteratura, pubblicato nel 1925 e diventato nel 1962 anche un classico del cinema. Orson Welles lo reinterpreta in maniera personale, trasportando in immagini la cupa vicenda di K., interpretato da Anthony Perkins affiancato dallo stesso Welles, Jeanne Moreau, Romy Schneider, Arnoldo Foà, Madeleine Robinson ed Elsa Martinelli. 

Dallo spaesamento delle prime scene del risveglio in cui il protagonista, anonimo impiegato, scopre di essere accusato di un reato di cui non è a conoscenza, si procede, con un ritmo sempre più incalzante, all’interno dell’incubo a occhi aperti in cui è catapultato K. Così ha inizio la disavventura di un uomo comune, perso tra la burocrazia, il potere e gli ambienti giudiziari, che si ritrova a fare i conti con una serie di figure oscure, complici
di un gioco incomprensibile, come l’avvocato Hastler (interpretato da Welles) cui non interessa la sorte dei propri clienti. Sempre più scoraggiato nel proseguire la battaglia verso la giustizia, K. è costretto a rassegnarsi.
Il suo destino è segnato: viene giustiziato da due funzionari in una cava fuori città, senza neanche sapere il perché. Il film è girato tra Italia, Francia e Jugoslavia, al di fuori del sistema degli Studios hollywoodiani. Lo stesso Welles, infatti, è a sua volta vittima di una persecuzione: nella celebre lista nera di Hollywood, in cui figurano i nomi di artisti sospettati di antiamericanismo, appare anche il suo: nel 1948 il regista è costretto a lasciare gli Stati Uniti per l’Europa. Tornerà solo nel 1956. 

The Seven Year Itch 

Quando la moglie è in vacanza, 1955. Fotografie di Elliott Erwitt 

Tra le migliori commedie americane di tutti i tempi, Quando la moglie è in vacanza esce nelle sale nel 1955, diretto da Billy Wilder. Il film è tratto dalla commedia teatrale di George Axelrod, The Seven Year Itch (titolo originale della pellicola). Nel cast dello spettacolo teatrale, il protagonista è interpretato da Tom Ewell, scritturato per lo stesso ruolo nella versione cinematografica, mentre Vanessa Brown, protagonista femminile, verrà sostituita da Marilyn Monroe. 

È una calda estate a New York e Richard Sherman, che lavora in una casa editrice, rimane solo in città dopo la partenza della moglie Helen e del figlio per le vacanze nel Maine; così incontra la giovane annunciatrice televisiva che abita al piano di sopra, Marilyn Monroe. Combattuto tra la volontà di essere fedele alla moglie e la tentazione di approfittare dell’occasione per sedurre l’attraente vicina, Sherman prima fantastica sul riuscire a conquistarla, poi si dispera convinto di essere stato tradito a sua volta; l’immaginazione si mescola pericolosamente alla realtà, dando vita a una spiritosa satira sui costumi della società americana. 

Il film è una raccolta di scene leggendarie, come quella dove, all’uscita di una sala cinematografica, lo spostamento d’aria attraverso una grata, provocato
dal passaggio della metropolitana, solleva la gonna del vestito bianco di Marilyn.
A renderla immortale saranno anche le circostanze: venne girata la prima volta a Manhattan, di notte, tra la Lexington Avenue e la 52esima strada, ma per il gran numero di giornalisti e curiosi, il regista fu costretto a ricostruirne il set negli studi della Fox. Qui ne girò un’ulteriore versione: i numerosi scatti realizzati avevano però già trasformato la sequenza in un mito. 

The Misfits 

Gli spostati, 1961. Fotografie di autori vari 

Ribelle, romantico, nostalgico: The Misfits diventa subito un classico del cinema. Scritto da Arthur Miller, diretto da John Huston, esce nelle sale nel 1961 e costruisce una perfetta analisi del malessere della società americana, in procinto di affacciarsi a una nuova epoca. 

La bellissima Roslyn Taber (interpretata da Marilyn Monroe) sembra portare una ventata di aria fresca nel caldo afoso del Nevada. In un soggiorno a Reno per ottenere il divorzio, la ragazza incontra Gay (Clark Gable), un vecchio cowboy ormai solo, e Guido (Eli Wallach), ex aviatore, vedovo inconsolabile. La delicatezza e l’ingenuità della ragazza conquistano i due uomini ma entra in gioco anche il giovane Perce (Montgomery Clift). In una costante ricerca della libertà, tra una natura forte, a volte crudele, i rodei sanguinosi e la caccia ai cavalli selvaggi da catturare, sembra che tutti siano attratti e allo stesso tempo respinti da Roslyn. Alla fine, Gay restituisce la libertà a uno stallone conquistato da poco: un gesto che chiude i conti con il passato e forse un omaggio alla sensibilità di Roslyn, e la definitiva dichiarazione d’amore nei suoi confronti.
Gli spostati sarà l’ultimo film di Clark Gable, che morirà per infarto una decina di giorni dopo il termine delle riprese, e di Marilyn Monroe, che si suiciderà l’anno successivo, dopo aver realizzato probabilmente l’interpretazione più profonda ed umana della sua carriera. Per questo film Magnum ottenne un’esclusiva con
la produzione e sul set si alternarono a coppia molti dei fotografi dell’agenzia, da Henri Cartier-Bresson a Elliott Erwitt, da Inge Morath a Erich Hartmann. La documentazione fotografica de Gli spostati è diventata così il racconto visivo di un film che ha segnato uno spartiacque nel cinema internazionale. 

The Alamo 

La battaglia di Alamo, 1960. Fotografie di Dennis Stock 

L’assedio più celebre della storia degli USA segna l’esordio alla regia di John Wayne. The Alamo ricostruisce infatti l’omonima battaglia del 1836, evento chiave della rivoluzione texana, con l’assedio da parte delle forze messicane della vecchia missione spagnola vicino San Antonio ricostruita per le riprese nei pressi di Brackettville, in Texas, e da allora utilizzata per la realizzazione di numerosi altri western. Sam Houston, capo dell’esercito texano, è incaricato  di riunire un gruppo di soldati per attaccare l’armata messicana guidata da Antonio López de Santa Anna e, nel tentativo di guadagnare il tempo necessario ad arruolare e addestrare i soldati, Houston affida la difesa di Alamo al Colonnello Travis. A lui si uniscono i volontari dell’avventuriero Jim Bowie e gli uomini di David Crockett, pioniere ed ex membro del Congresso del Tennessee. 

La parte spettacolare del film ricostruisce i tre giorni di battaglia e la morte dei protagonisti sotto il fuoco nemico. Travis, Bowie e Crockett vengono uccisi, ma il sacrificio eroico non sarà vano: alcuni giorni più tardi, il generale Sam Houston riuscirà a sconfiggere e fare prigioniero Santa Anna, che riconoscerà l’indipendenza del Texas. 

Al film andò il premio Oscar 1961 per la Miglior colonna sonora, assieme a 6 nomination come Miglior film, Miglior attore non protagonista, Miglior fotografia, Miglior montaggio, Miglior sonoro e Miglior canzone. 

Suddenly, Last Summer 

Improvvisamente, l’estate scorsa, 1959. Fotografie di Burt Glinn 

Joseph L. Mankiewicz firma nel 1959, con la collaborazione dello scrittore Gore Vidal, la riduzione cinematografica del celebre dramma di Tennessee Williams che affronta temi cruciali come il malessere psichico, il perbenismo della società borghese, l’omosessualità e il senso di colpa.
New Orleans, 1937. La ricca e diabolica Violet Venable, una straordinaria Katharine Hepburn, si rivolge a una clinica psichiatrica perché la nipote Catherine Holly (Elizabeth Taylor) rimasta traumatizzata in seguito
alla misteriosa morte del cugino Sebastian durante le vacanze estive, venga sottoposta a una lobotomia. Ma i colloqui con il dottor Cukrovicz (Montgomery
Clift) lasciano lentamente emergere una realtà ben più complessa: Violet è ossessionata dalla paura che la nipote possa rivelare i retroscena che hanno determinato la morte del suo unico figlio. L’intensa recitazione dei protagonisti rende ancora più avvincente la pellicola, così come le scene che svelano l’omosessualità di Sebastian, vera causa della follia di Violet.
Il Codice Hays, in vigore a quei tempi, costrinse Vidal a eliminare qualsiasi riferimento diretto a questi temi e a rivedere molti dialoghi: la censura proibì inoltre che fosse associato un vero e proprio volto al personaggio di Sebastian, che appare solo di spalle.
Il film ebbe un grande successo, con tre nomination ai premi Oscar del 1960: e per Elizabeth Taylor un Golden Globe come Migliore attrice in un film drammatico. 

Rebel without a cause 

Gioventù bruciata, 1955. Fotografie di Dennis Stock 

Film cult per eccellenza, diretto da Nicholas Ray nel 1955, è una delle prime pellicole ad affrontare il tema dell’inquietudine giovanile e diventerà l’emblema di un’intera generazione. Il titolo originale si riferisce a un libro del 1944 dello psichiatra Robert Lindner, Ribelle senza causa: analisi di uno psicopatico criminale di cui la Warner aveva acquistato i diritti. Il film, inoltre, ha contribuito a rendere James Dean un mito: nessuno meglio di lui avrebbe potuto interpretare Jim Stark, adolescente turbato e in contrasto con il padre e la società, che in una stazione di polizia incrocia due altri ragazzi, Judy (Natalie Wood) e Plato (Sal Mineo). Una volta rilasciati, i tre avranno a che fare con una banda capitanata da Buzz, che sfiderà Jim nella “chicken run”, prova di coraggio che consiste nel lanciarsi a forte velocità a bordo di una macchina e gettarsi fuori prima che questa precipiti da uno strapiombo. Jim partecipa ma sarà Buzz a rimanere ucciso. Sconvolto, Jim, decide di raccontare tutto alla polizia mentre i presunti amici di Buzz tentano di farlo tacere sulla loro colpevolezza. 

La situazione precipita rapidamente e, mentre i genitori e la polizia accorrono, Plato spara inavvertitamente a un poliziotto, rimanendo a sua volta vittima di una sparatoria. Nicholas Ray ottenne una nomination agli Oscar per questo film, considerato una pietra miliare e selezionato dall’American Film Institute tra i primi 100 migliori film americani. 

Planet of the Apes 

Il pianeta delle scimmie, 1968. Fotografie di Dennis Stock 

Basato sull’omonimo romanzo del 1963 di Pierre Boulle, Il pianeta delle scimmie, diretto da Franklin J. Schaffner, è una vera pietra miliare della fantascienza
sul grande schermo, passato alla storia anche grazie alla sceneggiatura di Rod Serling e alle interpretazioni di Charlton Heston e Roddy McDowall.
A bordo dell’astronave Icarus, gli astronauti Taylor, Landon, Dodge e Stewart partono alla ricerca di un nuovo mondo da ripopolare. È una missione complessa, che prevede un viaggio spaziale di 700 anni e i quattro saranno ibernati per poter sopravvivere. L’astronave però precipita su un pianeta sconosciuto, Stewart muore e gli altri, al risveglio, si ritrovano nel 3978.
I sopravvissuti scoprono l’esistenza di un pianeta popolato da scimmie intelligenti, organizzate in una civiltà piuttosto evoluta e in una società divisa in caste: i gorilla sono guerrieri, gli oranghi amministratori e politici, gli scimpanzé scienziati e intellettuali, mentre gli umani sono considerati animali selvaggi e sfruttati per esperimenti scientifici. Il misterioso pianeta conserva però una parte proibita e lì, alla fine, si avventurano i due ultimi astronauti rimasti. Troveranno i resti della Statua della Libertà che affiorano dal mare e il monumento in parte sepolto svela la triste realtà: l’astronave ha solo attraversato un tunnel temporale, e il pianeta strano e ostile non è altro che la Terra. 

Moby Dick 

Moby Dick, la balena bianca, 1956. Fotografie di Erich Lessing 

L’epica impresa del Capitano Achab alla caccia della sua balena, narrata nel capolavoro di Herman Melville, non poteva che diventare per il cinema un colossal memorabile, diretto da John Huston, adattato per lo schermo da Ray Bradbury con presenze nel cast di divi come Gregory Peck e Orson Welles. 

Solo uno spirito controcorrente come Huston poteva lavorare a una simile produzione cinematografica e come spesso nelle sue imprese, anche la lavorazione di questo film diventò a suo modo un’epica avventura. Huston aveva sempre voluto ricavare un film da Moby Dick, e avrebbe addirittura voluto scritturare suo padre per il ruolo di Achab ma sfortunatamente, il padre morì prima di trovare i finanziamenti. Stanco delle diffidenze dei produttori di Hollywood, Huston decise di produrre personalmente il film che venne girato tra
il Galles, l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna e gli studi cinematografici di Shepperton, a Londra. La stesura della sceneggiatura avvenne tra aspri contrasti tra Huston e Bradbury fin da quando lo scrittore confessò al regista di non aver mai letto il libro di Melville. Molte vicissitudini accompagnarono anche
la creazione della balena del film. In gomma, lunga 23 metri, con 12 tonnellate di peso e un complesso sistema per poter galleggiare, durante le riprese la finta balena si staccò dagli ormeggi e si perse nelle nebbie del mare costringendo la troupe a lavorare con modelli di varia grandezza in una vasca artificiale degli studi londinesi. Alla fine, Huston non recuperò mai il costo del film. 

Limelight 

Luci della ribalta, 1952. Fotografie di W. Eugene Smith 

Sì, la vita è meravigliosa, se non se ne ha paura. Il celebre monologo che Charlie Chaplin interpreta in Luci della ribalta, comincia con queste parole lapidarie e folgoranti. Limelight, Luci della ribalta, appunto, è un film del 1952 scritto, diretto e interpretato da Chaplin e tratto da un suo breve romanzo del 1948, Footlights, rimasto a lungo inedito. 

Siamo nella Londra del 1914 dove la carriera del clown Calvero (interpretato da Chaplin) è in declino. Una notte, riesce a sventare il tentativo di suicidio della bella e sfortunata ballerina Terry (interpretata da Claire Bloom), sola e paralizzata agli arti inferiori per un trauma infantile. Calvero riesce a salvarla: grazie ai suoi incoraggiamenti, la ragazza torna con successo al suo lavoro e fra i due nasce un amore impossibile, data la differenza d’età. Raggiunto ormai il culmine del successo, Terry proporrà di nuovo a Calvero di partecipare a uno spettacolo insieme al suo partner di scena, il grande Buster Keaton. Sotto i riflettori, il clown spicca un salto prodigioso e cade sull’orchestra tra applausi del pubblico. 

Il vecchio Calvero viene portato dietro le quinte, dove muore per un attacco di cuore. Luci della ribalta è l’ultimo film di Chaplin girato negli Stati Uniti: la Commissione per la repressione delle attività antiamericane mette sotto inchiesta il regista britannico per via delle sue presunte simpatie comuniste e proprio mentre è in viaggio con la famiglia verso Londra per presentare il film, a Chaplin viene annullato il permesso di rientro negli USA.
Solo nel 1972 a 83 anni, Chaplin rientrerà negli Stati Uniti per ritirare l’Oscar alla carriera e con l’occasione gli verrà attribuito anche il premio della migliore colonna sonora per Luci della ribalta: il primo caso nella storia di Oscar retroattivo. 

L’important c’est d’aimer 

L’importante è amare, 1975. Fotografie di Jean Gaumy 

Tratto dal romanzo La nuit américaine di Christopher Frank, L’important c’est d’aimer, è il primo film del regista Andrzej Żuławski girato fuori dalla Polonia, dopo il suo trasferimento in Francia vista la censura del suo film precedente.
Si tratta di un crudo melodramma dalle interpretazioni forti e intense, che ha inizio sul set di un film a luci rosse dove il fotografo Servais Mont (interpretato da Fabio Testi) conosce Nadine Chevalier, una divina Romy Schneider. Un tempo famosa attrice ora in rovina, la protagonista è ridotta a recitare in pellicole di dubbia qualità per mantenere sé stessa e il marito Jacques, attore disoccupato. Mont rimane ammaliato dalla donna e cercando di aiutarla, finanzia l’allestimento di uno spettacolo teatrale, il Riccardo III di Shakespeare, diretto dallo stravagante Messala.
Da quel momento, i loro destini saranno tragicamente intrecciati. In un susseguirsi di atmosfere tetre e barocche, ci si avvia al tragico epilogo quando lo spettacolo si rivelerà un insuccesso ma Kessler, il ricchissimo primo attore della compagnia, intuite le vere intenzioni del fotografo, gli lascia una grande somma
di denaro. Mont, tuttavia, decide di non saldare i propri debiti con il malvagio strozzino Mazelli, ma cerca ancora di aiutare Nadine, regalando quel denaro proprio al marito Jacques che però, umiliato, si toglie la vita. Servais riuscirà a raccogliere la somma necessaria per sdebitarsi, riconsegnandola con un solo giorno di ritardo a Mazelli, ma verrà aggredito dai suoi feroci scagnozzi. Nel finale, Nadine, rimasta sola e disperata, stringe in un abbraccio il corpo del suo amato ancora sanguinante. Per la sua interpretazione, giudicata da lei stessa la migliore della sua carriera, Romy Schneider vinse il César del 1976. 

Death of a Salesman 

Morte di un commesso viaggiatore, 1985. Fotografie di Inge Morath 

Willy Loman, il commesso viaggiatore di 63 anni, che vive la ricerca della felicità come un insieme di sfide impossibili segnate da insuccessi e fallimenti, è il protagonista del testo forse più famoso di Arthur Miller e tra i più celebri della storia della narrativa americana. Il suo dramma è stato portato innumerevoli volte sui palcoscenici di tutto il mondo, sempre con molto successo (in Italia si ricorda ancora la rappresentazione del 1951 per la regia di Luchino Visconti e con Paolo Stoppa e Rina Morelli come protagonisti).  La versione cinematografica forse più celebre è quella del regista tedesco Volker Schlöndorff, classe 1939, dove Willy, con tutte le sue fragilità e delusioni,
è un intenso Dustin Hoffman reduce dai successi di Broadway, mentre nei panni del figlio Biff, speranza frustrata del padre, si afferma un giovane ma già talentuoso John Malkovic.
Sul set di questo film, diventato presto un classico del genere letterario, apprezzato per la misura compositiva e per la fedeltà della trasposizione del testo, a documentare la lavorazione viene chiamata Inge Morath, tra le prime donne fotografe di Magnum e moglie di Arthur Miller. La vicinanza con il drammaturgo, la familiarità con il testo e le sue mille sfumature le permette una capacita introspettiva e una sensibilità che emergono con tutta evidenza in queste immagini. 

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